Too cool for U.

Natalie&Kenneth

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    Natalie aveva già un mucchio di cose a cui pensare, ci mancava soltanto il portafogli perso chissà dove. Quando quella mattina aveva aperto gli occhi e si era messa a cercare la sua carta d'identità nella borsa, si era accorta che il suo borsellino di marca non era più lì in mezzo alle cartacce e ai libri di scuola. Non che le importasse aver perso cinque sterline di carta e qualche soldo spiccio, ma lì dentro non solo c'era il suo documento, ma anche la carta di credito che sua madre le aveva regalato per il suo ultimo compleanno – e che Nat aveva meticolosamente caricato con i suoi risparmi come cameriera al Time-Tilt –. Il suo umore era peggiorato ancor di più una volta entrata a scuola quando, la simpatica professoressa di biologia, si era inventata un bel compito in classe a sorpresa che lei aveva giustamente consegnato in bianco.
    Con tutte le cose che aveva avuto da fare il giorno prima non aveva avuto neanche il tempo di fissare schifata la copertina del libro.
    Per non parlare di Liv che approfittava della presenza di Natalie per baciare con esagerata passione il suo ragazzo. In sei ore di lezione e di passeggiate varie per i corridoi, aveva incontrato la coppia circa cinque volte e per tutte quelle cinque volte era stata un'incredula – e terrorizzata – spettatrice di quel teatrino eccessivamente hard. Osservando i biondi capelli della sorellastra, Natalie era arrivata alla triste conclusione che forse era stata proprio lei a farle sparire il portafogli, giusto per tentare di mettere ancora più sottosopra la sua esistenza.
    L'inferno, constatò Natalie passandole accanto e girando il viso dall'altra parte, aveva proprio l'aspetto di quella ragazzina piena di lentiggini.
    Una volta tornata a casa, lei e Dianna – che finalmente potevano godersi un momento insieme e da sole – avevano cercato ovunque.
    «Nat» La chiamò piano sua madre mentre rovistava alla rinfusa nell'armadio della figlia. Fece capolino da un'anta dell'armadio e le sorrise affabile: «Non ho mai avuto modo di chiederti come tu abbia preso il fatto che... Che...» Natalie cercò di pensare positivo anche se sapeva dove sarebbe andata a parare sua madre da lì a poco. La ragazza restò con il braccio nel cassetto dell'intimo, gli occhi puntati in quelli di sua madre. Per un solo istante le parve di rivedere quella donna spaventata dal suo ex marito, quella che cercava di non esternare troppo le sue paure e i suoi sentimenti perché lui le si sarebbe rivoltato contro in malo modo. E Dianna sembrava provare proprio lo stesso terrore nei confronti di Natalie. Ma poi la donna sorrise e Natalie si rilassò.
    «Che Liv e Jeremy adesso fanno coppia fissa?»
    Per poi irrigidirsi nuovamente.
    Cos'era quella mania che era presa un po' a tutti di chiederle costantemente del suo ex ragazzo? Natalie chiuse velocemente il cassetto e scattò in piedi rivolgendo alla madre un sorriso esageratamente tirato.
    «Mamma» Iniziò lentamente fingendo di non essersi innervosita: «Sono così contenta per loro che spero vivamente che diventino i nuovi Re e Regina del ballo» E che qualcuno faccia rotolare le loro teste incoronate giù per il palco, aggiunse mentalmente. Mentire con Dianna era inevitabile: ci teneva così tanto che Natalie andasse d'accordo con la sua nuova famiglia che ormai era diventata brava a far finta di niente.
    «Ora, però, se non ti dispiace preferisco andare dalla Polizia a denunciare la scomparsa del documento e dalla carta di credito» Afferrò la sua giacca e la sua borsa di ecopelle nera e uscì di casa senza mai guardarsi indietro.
    Se sua madre era convinta che lei e Liv andassero d'amore e d'accordo solo perché Nat era in grado di fingere ogni volta che ne aveva la possibilità, allora era davvero fuori di testa. Quello fu l'unico pensiero che accompagnò la ragazza mentre percorreva la strada diretta verso la stazione di Polizia.
    Quando si trovò di fronte all'imponente edificio titubò un pochino. Si fermò di fronte alla porta un paio di minuti, giusto per guardare da oltre i vetri com'era la situazione all'interno. Natalie scrutò attentamente la scena e le persone che silenziose si trascinavano in strada e nessuno sembrava aver fatto caso a lei. Esaminò le auto della Polizia parcheggiate lì vicino, un gruppo di poliziotti appoggiati su una macchina che parlavano fitti fitti tra di loro. Aprì lentamente la porta tirandola in avanti e, insicura, si fiondò dentro.
    Era da un sacco di tempo che non parlava con un poliziotto, più o meno da quando avevano arrestato definitivamente suo padre. Quel giorno, quell'uomo che le aveva annunciato che suo padre si trovava in prigione, era diventato il suo eroe personale... Chissà se lavorava ancora lì o se era stato trasferito altrove.
    E chissà se qualcuno sapeva anche qualche informazione in più su suo padre.
    Indecisa sul da farsi, Natalie si sedette su una delle scomode sedie attendendo pazientemente che qualcuno arrivasse in suo soccorso.
    ▲ Natalie L. Hoechlin ▼
    Quando gli adulti, con lo stupido sorriso di chi crede di saperla lunga, dicono: “I giovani si credono invincibili” non sanno quanto hanno ragione. La disperazione non fa per noi, perché niente può ferirci irreparabilmente. Ci crediamo invincibili perchè lo siamo. Non possiamo nascere, e non possiamo morire. Come l’energia, possiamo solo cambiare forma, dimensioni, manifestazioni. Gli adulti, invecchiando, lo dimenticano. Hanno una gran paura di perdere, di fallire. Ma quella parte di noi che è più grande della somma delle nostre parti non ha inizio e non ha una fine, e dunque non può fallire.

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    Edited by ‹Hamiltonta - 18/1/2015, 22:40
     
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    La giornata non prometteva bene, questo Ken lo aveva immaginato subito dopo essersi messo in piedi. Fuori dalla finestra delle nuvole grigie minacciavano pioggia e questo, all'interno del piccolo universo semplicistico in cui aveva sempre vissuto – o in cui si era sempre costretto a vivere – stava a significare una sola cosa, ovvero che di lì a poco una burrasca si sarebbe accanita non solo contro alla cittadina di Renewal Hollow, ma anche contro di lui.
    Per quello che lo riguardava era universalmente riconosciuto che la sfortuna lo perseguitasse di continuo, riflettendosi stranamente sugli agenti atmosferici che, ogni giorno, influenzavano l'inalzamento o l'abbassamento delle temperature. Quindi, per chi non stesse seguendo il discorso – comunque privo di senso per qualsiasi altra persona normale - il sole gli portava bene, mentre la pioggia gli portava male.
    Chiaramente, ritrovandosi in una città sperduta per il nord Europa, appariva chiaro che se si voleva dare per buona questa equazione allora si doveva anche presumere che ogni giorno, per Kenneth, fosse preso di mira dalla sfortuna più nera.
    «...perché in questa casa finiamo sempre il latto in due giorni?»
    Tate, suo fratello, ovviamente era all'oscuro dei pensieri perennemente torvi del maggiore. Il ragazzo si limitava a vivere la sua adolescenza come meglio poteva, dimostrandosi assennato quando doveva e libero di divertirsi quando ne aveva il tempo. Era diverso da Ken, che probabilmente era venuto al mondo col volto corruciato, o anche solo da Georgie, che invece pareva essere sempre interessata al divertimento e basta. Era una via di mezzo fra loro, pur essendo venuto al mondo per ultimo.
    «Non è colpa mia se lo mandi giù come fosse acqua.» commentò Kenneth, destreggiandosi fra le padelle fumanti e la lettura del giornale. Stava cucinando la colazione, come ogni mattina, e come ogni mattina si ritrovava ad affrontare lo stesso discorso col fratellino. «...ancora non capisco come tu ti possa essere convinto che basti bere continuamente latte per crescere in altezza.»
    Abbozzò un sorriso, che Tate, tutto sommato, accolse senza remore. Era bassino lui, sempre alla ricerca di nuovi modi per uscire dall'ombra del fratello maggiore, ma nel complesso poteva dire a cuor leggero che non ci fosse poi questa grande rivalità fra loro. E, se davvero c'era, sapeva tenerla a bada anche piuttosto bene.
    «Ridi, ridi, un giorno diventerò così alto da farti invidia, vedrai...»
    Allungandosi oltre il bancone della cucina, Kenny gli diede la sua razione di cibo – bacon con uova più un delizioso bicchiere di succo di frutta, in mancanza del latte – prima di passargli una mano fra i capelli ed allontanarsi.
    «Io devo andare, quando esci chiudi a chiave mi raccomando.»
    Tate gli fece ok con le dita, salutando con un cenno del capo quando lui, velocemente, già si proiettava verso la porta.
    Lo salutò a sua volta, uscì, si diresse verso la macchina ed una volta salitoci accese la radio accendendo il motore.
    Normalmente avrebbe percorso di corsa la distanza che separava casa sua dalla centrale ma, con quel cielo scuro, proprio non ne voleva sapere di rischiare di prendersi l'acqua. Tanto valeva pigliare l'auto, ignorare i sensi di colpa per l'allenamento mattutino mancato e dirigersi in tutta fretta al suo posto di lavoro.

    ***

    Fortunatamente a Renewal Hollow non c'erano mai giornate in cui i criminali parevano essersi messi tutti d'accordo per attentare alla vita delle forze di polizia. La cittadina era talmente tanto tranquilla che, di norma, la cosa peggiore accaduta a Ken ed al suo compagno era stata quella di assistere i vigili del fuoco nel recuperare un bambino incastratosi in una fenditura, poco distante dalle mura di cinta della fabbrica abbandonata. Non arrestavano persona ogni giorno, non confiscavano pacchi di droga che valevano migliardi, veniva semplicemente pagati per tenere d'occhio la città dando quel minimo di sicurezza in più agli abitanti quando li vedevano passare con la volante per le strade.
    Ben lontano dallo stile di vita che aveva immaginato per se stesso, Kenneth doveva ammettere che da qualche tempo quel piccolo agglomerato di case lo aveva affascinato, liberandolo della necessità continua ed opprimente di dover fare per forza di cose qualcosa di spettacolare per potersi dire la notte di aver vissuto una vita degna di questo nome.
    Gli andava bene il suo lavoro tranquillo, gli andava bene svegliarsi la mattina e non avere tremende preoccupazioni, addirittura cominciava ad apprezzare i continui inviti dei vicini ai barbecue della domenica che parevano essere importanti quanto il Natale e la cena del Ringraziamento messi insieme.
    «Oggi lavoro d'ufficio, eh Walker?»
    Ken annuì, sorridendo di sbieco prima di oltrepassare gli uffici ed arrivare nel salone d'entrata, dove alcune persone stavano aspettando il proprio turno per denunciare oggetti smarriti, compagni violenti e così via.
    Fece segno ad una signora di avvicinarsi e così, piano piano, smaltì abbastanza velocemente la fila che si era venuta a creare.
    Come già detto, non c'era poi tutto questo gran caos lì.
    «Il prossimo.» disse ad alta voce, puntando gli occhi sulla rossa seduta poco distante.
    ▲ Kenneth Arturo Walker ▼
    Anche i grammatici hanno intuito la natura della guerra: alcuni sostengono che essa si chiama «bellum» per antitesi, perché non ha niente di buono né di bello; la guerra è «bellum» nello stesso senso in cui le Furie sono le «Eumènidi». Altri preferiscono far derivare la parola «bellum» da «bellua», belva: perché è da belve, non da uomini, impegnarsi in uno sterminio reciproco.

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    Il tempo sembrava non scorrere più all'interno di quella stazione di Polizia. Fuori il cielo si era ricoperto di nubi scure e minacciose e Nat si diede della stupida per essersi vestita – ancora una volta – molto primaverile e leggera. Se soltanto fosse scappata da quell'orrido posto, che per lei non si limitava a Renewal Hollow e la sua nuova casa ma bensì all'intera Scozia, allora avrebbe potuto indossare tranquillamente tutti i suoi capi senza maniche e le canottiere e le gonne strette sulla vita. Purtroppo però al momento si trovava lì, a dover concludere l'ultimo anno di liceo e a dover combattere ogni giorno contro la povera Liv... Ma prima o poi sarebbe scappata.
    Nat abbassò lo sguardo sulle sue unghie laccate di un marroncino fango e pensò che era proprio arrivato il momento di cambiare colore e di sceglierne uno più accattivante e adatto a lei, che la rappresentasse. Magari avrebbe scelto un bel rosso fuoco o un blu acceso e avrebbe immediatamente buttato quell'orribile smalto smorto marrone. Ecco, concluse abbassando le mani sulle proprie gambe e tornando con l'attenzione sulle altre persone in sala d'attesa, buttarlo forse no ma regalarlo a Liv certamente, tanto le piacciono tutte le mie cose smesse.
    Un ragazzo di fronte a lei, che non poteva avere molti più anni di Nat, abbozzò un timido sorriso nella sua direzione e si sistemò gli spessi occhiali da vista sul naso. Natalie, di tutta risposta, arricciò le labbra e alzò gli occhi al cielo smontando così, in due soli movimenti, tutte le speranze di quell'essere.
    Maschi, puah. Per quanto le riguardava ci aveva messo un bel masso sopra, fine dei giochi. O almeno così sarebbe stato fino a che non avrebbe trovato il Re perfetto per il ballo, quello con cui avrebbe volentieri condiviso il palco il giorno dell'incoronazione. E di certo, quell'ometto lì senza barba e vestito maluccio, non rispecchiava i canoni che la ragazza si era posta.
    Nat pensava a Liv, Jeremy e il ballo di fine anno più di quanto fosse umanamente possibile. Quei tre pensieri si erano andati ad inculcare nella sua mente tormentandola in qualsiasi momento della giornata. Come se non bastasse, poi, non era il solo pensiero di Liv a rendere la sua vita più difficile ma anche la sua noiosa ed irritante presenza in giro per la casa. Aveva certamente bisogno di una vacanza, una lunga, interminabile e rilassante vacanza, lontano da quella cittadina che l'aveva vista nascere, crescere e cambiare, lontana dalla sua famiglia a metà, da quella madre un po' troppo comprensiva e quel patrigno troppo invadente. E lontana, soprattutto, dai fantasmi del suo passato.
    Lontana da suo padre.
    Fu come risvegliarsi da un incubo. Natalie sussultò e si ricordò del messaggio di suo padre: “Principessa, indovina chi è fuori? Papà non vede l'ora di vederti!”.
    Non pensava a lui... Insomma, non pensava a questo particolare da quando aveva lanciato il telefono contro la parete rischiando di rovinare tutto lo schermo. Sebastian Hoechlin era fuori di galera da un po' di tempo a questa parte e molto probabilmente quelle persone – magari anche quel poliziotto lì – ne sapevano molto più di lei.
    Natalie aveva il diritto di sapere, di proteggere il presente che si era creata passo passo allontanandosi del tutto da quel passato burrascoso. Certo, avrebbe semplicemente potuto rispondere al padre chiedendogli “Dov'è che di preciso giri? Così mi tengo bene alla larga da te!” Ma conosceva perfettamente l'indole violenta di Seb, la cattiveria che si nascondeva dietro quel “Principessa” e non voleva rischiare, non più.
    Poco dopo il poliziotto annunciò ad alta voce: «Il prossimo.» E Natalie si avviò verso di lui a grandi falcate e decisa di saperne di più.
    Si avvicinò al bancone, leggermente titubante e in un batter d'occhio perse tutta quella sicurezza con cui si era diretta – infuriata e infastidita – alla stazione di Polizia.
    Com'è che funziona questa roba?

    Tossì per schiarirsi la voce e, da ragazza educata, salutò.
    «Hallelujah» Sbottò incapace di trattenere la sua lingua velenosa. Non era il caso di dire “Buongiorno” poiché, da come era iniziata quella giornata, non c'era decisamente nulla di buono e aveva come l'impressione che anche il poliziotto – che forse era annoiato da quel lavoro statico fatto di scartoffie e lamentele – fosse della stessa opinione.
    «Volevo denunciare lo smarrimento dei miei documenti e della mia carta di credito. Mi chiamo Natalie Hoechlin» Disse tutta d'un fiato sperando di non dover fare lo spelling del proprio cognome. Era una cosa che l'urtava, che la mandava in bestia perché non le sembrava esser così complicato. Sorrise al poliziotto, un sorriso di cortesia che non aveva nulla a che vedere con il suo bell'aspetto, la sua pelle abbronzata e i suoi occhi penetranti.
    Certo, quello era uno dei più bei uomini in divisa che Nat avesse mai visto e per un attimo la sua mente partorì un pensiero alquanto impuro e volgare, ma si riprese poco dopo concentrandosi sul vero motivo per cui era lì e sul fantomatico Re del ballo dei suoi sogni.
    Poggiò una mano sul bancone e, senza aspettare risposta, abbassò la voce ed aggiunse: «E vorrei avere qualche informazione più riguardo un certo... Sebastian... Hoechlin». Quel “certo” stonava nel mezzo di tutta quella frase. Natalie parlava di lui – anzi, non lo faceva mai, ma quando raramente capitava – con un certo distacco, come se quell'uomo non fosse niente per lei ma solo un perfetto sconosciuto, un omonimo.
    Ed era suo padre.
    E stava chiedendo informazioni su di lui. Non era certa che l'uomo fosse tenuto a divulgare certe informazioni ma Nat era determinata ad averle.
    Ad ogni costo.
    ▲ Natalie L. Hoechlin ▼
    Quando gli adulti, con lo stupido sorriso di chi crede di saperla lunga, dicono: “I giovani si credono invincibili” non sanno quanto hanno ragione. La disperazione non fa per noi, perché niente può ferirci irreparabilmente. Ci crediamo invincibili perchè lo siamo. Non possiamo nascere, e non possiamo morire. Come l’energia, possiamo solo cambiare forma, dimensioni, manifestazioni. Gli adulti, invecchiando, lo dimenticano. Hanno una gran paura di perdere, di fallire. Ma quella parte di noi che è più grande della somma delle nostre parti non ha inizio e non ha una fine, e dunque non può fallire.

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    Di cose per la testa ne aveva molte, chiaramente, eppure non si permetteva mai di trascinare i propri problemi anche sul posto di lavoro. Se c'era una cosa che aveva imparato nel corso degli anni, era proprio che era sempre meglio cercare di separare la vita privata da quella "pubblica". La sua non era una spasmodica voglia di non permettere a nessuno di violare la sua privacy, quanto più un forse istinto di autoconservazione: disprezzava i pettegoli, vedeva di mal'occhio chiunque facesse troppe domande sul suo conto e, soprattutto, non poteva soffrire gli sguardi pieni di pietà che alcune volte le persone sembravano intenzionate a lanciargli.
    Non aveva bisogno della pietà altrui, men che meno in quel momento che, detto sinceramente, tutto gli pareva meno che irreparabile.
    La sua vita non era precipitata di certo in un baratro di eterna disperazione, la sola cosa brutta che gli era successa era che il suo patrigno era morto e che sua madre, giustamente, non aveva resistito al dolore per la morte di un altro uomo amato. Qualcuno poteva forse biasimarla? C'era un certo livello di tragedie che un essere umano poteva sopportare alla volta, prima di impazzire ed iniziare ad urlare per strada, e sua madre lo aveva semplicemente superato. Come tanti altri uomini e donne prima di lei e come molti altri che l'avrebbero seguita.
    Quindi no, la popolazione di Renewal Hollow poteva tenersi la sua cordialità volta solo a strappargli di dosso informazioni, potevano tutti tenersi stretti i loro sorrisi di circostanza per lui era un Walker e i componenti della sua famiglia non avevano bisogno di niente, se non l'uno dell'altro.
    Detto questo, durante quelle poche ore passate in ufficio, fu comunque felice nel constatare che di segreti loschi i cittadini ne avevano anche più di lui. Gli bastava fare un giro per i fascicoli nell'archivio, per rendersi conto che al mondo esisteva sempre qualcuno che era messo peggio di te. Forse non era una cosa bella da pensare, ma di certo lo faceva stare meglio quando la giornata gli appariva pessima, priva di attrattiva e ricca solo di volti che avrebbe preferito di gran lunga prendere a pugni.
    Se non altro, quando aveva a che fare con i problemi altrui, la smetteva una buona volta di sentire quella vocina sempre presente nel profondo della sua anima, la stessa che per anni gli aveva fatto dubitare di se stesso, delle decisioni che aveva preso nel corso del tempo e dell'affetto che le persone all'interno della sua famiglia dicevano di provare per lui. Quand si metteva la divisa, entrava alla centrale e si dipingeva addosso un'espressione neutrale, si sentiva finalmente a posto e non doveva più pensare a ciò che affliggeva la sua esistenza.
    Era solo un poliziotto come un altro, uno dei tanti al servizio della giustizia in quella città che di crimini efferati o eccessivamente violenti ne aveva visti pochi. Era un volto fra le massa, probabilmente sacrificabile, che non aveva eccessivi pesi sulle spalle e che rimaneva solo per portare a casa la pagnotta.
    In gioventù aveva sperato di diventare un eroe per la propria patria, ma ora gli andava bene questo, perché aveva capito che la dignità nella vita di una persona non veniva di certo conferita grazie ad azioni di noto eroismo.
    Ogni giorno si guadagnava da vivere, era presente per la madre e per il fratello, si occupava di tutte quelle piccole cose che permettevano a lui e a chi amava di andare avanti.
    Questo era dignitoso. Questo.
    «Il prossimo.»
    Puntò gli occhi verso l'ultima "cliente" del giorno, manco fosse un venditore al bancone del mercato, sfinito per la fiumana di gente che aveva appena finito di servire ed impaziente di potersene andare sul retro a fumare una sigaretta o, meglio ancora, a contare i soldi.
    Gli piaceva poco il lavoro d'ufficio, era un giovane dinamico incapace di stare fermo, quindi tale sguardo era comunque giustificato.
    Non era stato concepito certo per afflosciarsi sulla sedia dietro ad una scrivania!
    «Hallelujah.»
    Kenneth non disse niente, si limitò ad alzare un sopracciglio quando la ragazzina ebbe la faccia tosta di lamentarsi. Perché quella, più che una lamentela, altro non poteva essere.
    Si stupiva sempre di più della maleducazione dei giovani d'oggi, ma ricordando che genere di sorella aveva alla fine lasciava sempre correre. Fino a che non gli si presentavano davanti con il trucco sfatto, la guancia rossa e la piena convinzione di star vivendo appieno la propria vita, allora poteva perdonare tutto e tutti.
    Fece dunque buon viso e cattivo gioco, appoggiando un istante le mani sul ripiano in legno massello mentre la rossa, piano piano, gli spiegava il motivo che l'aveva spinta a presentarsi alla centrale.
    «Volevo denunciare lo smarrimento dei miei documenti e della mia carta di credito. Mi chiamo Natalie Hoechlin.»
    Fece per piegarsi e prendere i moduli necessari da compilare per la resa di denuncia, quando le ulteriori parole della ragazza lo costrinsero a fermarsi lì, sospeso, metà a terra e metà per aria.
    «E vorrei avere qualche informazione più riguardo un certo... Sebastian... Hoechlin.»
    Corrugò la fronte, guardandola dritto negli occhi senza alcuna difficoltà o timidezza. Era un uomo diretto, Ken, poco propenso al perdere tempo quando bastava dire subito le cose come stavano alla gente.
    Sospirando tornò ritto sul posto, la mano sinistra ancora posata al banco.
    «Non mi pare molto convinta di ciò che vuole o non vuole fare, signorina Hoechlin.» disse velocemente «Se la sua intenzione è quella di denunciare semplicemente la scomparsa dei suoi documenti, la possiamo risolvere anche velocemente, ma per quanto riguarda la sua seconda richiesta temo proprio che mi servirà qualcosina di più della sua semplice richiesta verbale. Sa com'è, ci sono molte procedure da rispettare e...considerando che ha perso la sua carta d'intentità ora come ora non posso nemmeno essere certo che lei sia chi dice di essere, no?»
    Finalmente si piegò ed afferrò il modulo giusto, tornando in piedi con anche una penna da offirle.
    «Deve compilare questo documento di resa denuncia, possibilmente corredato anche di fototessera. Se esce da qui e gira l'angolo pul trovare una cabina fotografica...» le indicò la porta, prima di tornare con gli occhi sul pezzo di carta «Con questo sarò libero di rilasciarle un permesso provvisorio di circolazione, mentre noi ci adoperiamo per inviare al municipio la richiesta di un duplicato dei documenti persi. Nel caso in cui abbia perduto anche la patente, allora dovrà fare una richiesta di rilascio di duplicato al Dipartimento dei trasporti.»
    Kenneth le diede in mano tutto, tranquillo.
    «Appena avrà fatto le darà le altre informazioni.»
    ▲ Kenneth Arturo Walker ▼
    Anche i grammatici hanno intuito la natura della guerra: alcuni sostengono che essa si chiama «bellum» per antitesi, perché non ha niente di buono né di bello; la guerra è «bellum» nello stesso senso in cui le Furie sono le «Eumènidi». Altri preferiscono far derivare la parola «bellum» da «bellua», belva: perché è da belve, non da uomini, impegnarsi in uno sterminio reciproco.

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    Natalie aveva la fortuna di essere intelligente oltre che polemica e perfida. Sapeva anche che un tratto del genere non poteva averlo ereditato da sua madre che sì, ne possedeva ma che la utilizzava in modo completamente sbagliato – innamorandosi di uomini con orribili figlie, per esempio – ma da suo padre che era manipolatore, attore ma che, a volte, sapeva dire cose estremamente brillanti. La ragazza aveva una grande passione per la storia, spiccava in letteratura e aveva degli ottimi voti in lingua straniera – seguiva un corso di italiano – ma se la cavava un po' meno con la matematica e la chimica.
    E con i poliziotti che parlavano come se lei comprendesse almeno la metà delle sue parole.
    «Non mi pare molto convinta di ciò che vuole o non vuole fare, signorina Hoechlin.» Nat inclinò il capo e gli rivolse un lieve sorriso. Quel ragazzo non la conosceva e forse per questo si era permesso di dire una frase tanto stupida quanto finta. Natalie aveva sempre in mente ciò che voleva davvero e le informazioni su suo padre erano una di esse. L'aveva tradita quell'esitazione di troppo, quell'incertezza nella voce nel nominare quel nome, il suo nome, ad alta voce. Era strano chiamarlo Sebastian e confidare ad uno sconosciuto un'identità che lei aveva tenuta nascosta per troppo tempo. Ma sì, voleva sapere che fine avesse fatto quell'orribile uomo.
    «Se la sua intenzione è quella di denunciare semplicemente la scomparsa dei suoi documenti, la possiamo risolvere anche velocemente, ma per quanto riguarda la sua seconda richiesta temo proprio che mi servirà qualcosina di più della sua semplice richiesta verbale. Sa com'è, ci sono molte procedure da rispettare e...considerando che ha perso la sua carta d'intentità ora come ora non posso nemmeno essere certo che lei sia chi dice di essere, no?» Solite cose burocratiche oppure... Alludeva forse a qualcos'altro? Nat ascoltò attentamente le sue parole e sbuffò alzando gli occhi al cielo. Il suono delle sue parole si tramutò in un fastidioso blablabla fino a quando non chiese qualcosa in cambio. Sperò con tutta sé stessa che quel “qualcosina in più” significasse qualcosa come una testimonianza della sua vera identità o giù di lì e puntò i suoi occhi indagatori sul volto del poliziotto. Quanti dubbi, quanti problemi! Perché non poteva semplicemente cercare nel fascicolo quel benedetto nome e darle giusto qualche informazione? Ne valeva della sua incolumità e della nomina che faticosamente si era creata all'interno della scuola!
    «Deve compilare questo documento di resa denuncia, possibilmente corredato anche di fototessera. Se esce da qui e gira l'angolo pul trovare una cabina fotografica... Con questo sarò libero di rilasciarle un permesso provvisorio di circolazione, mentre noi ci adoperiamo per inviare al municipio la richiesta di un duplicato dei documenti persi. Nel caso in cui abbia perduto anche la patente, allora dovrà fare una richiesta di rilascio di duplicato al Dipartimento dei trasporti.»
    Nat osservò il foglio sul bancone leggendo soltanto le prime voci: nome, cognome, indirizzo... Non aveva capito un fico secco di quello che le era stato appena detto. Permesso? Circolazione? Roba provvisoria? Rilascio? Quasi quasi era più semplice girovagare per la città senza carta d'identità. Alzò il sopracciglio destro e scosse il capo afferrando la penna blu alla sua sinistra.
    Compilò tutti i campi in silenzio riempiendo minuziosamente le linee vuote con la sua calligrafia sottile e femminile. Firmò in basso a destra e poi, rovistando nella sua borsetta, estrasse una piccola fotografia formato “foto-tessera” che teneva nel portafogli per ogni eventualità. Osservò soddisfatta l'immagine: per essere figlia di suo padre che non spiccava certo per la sua bellezza, tutto sommato era una bella diciottenne dall'aria decisa e aggressiva.
    «Ora» Esordì affiancando la tessera del centro estetico e del club sportivo che non frequentava da quasi quattro anni, ma su cui c'erano i suoi dati personali «Se non le dispiace vorrei davvero sapere qualcosa in più su Sebastian Hoechlin» Si guardò attorno cercando di reprimere le parole che le supplicavano di uscire. Non era tutto.
    Nat sapeva perfettamente di trovarsi di fronte ad un pubblico ufficiale, che tutta quella serie di cose burocratiche non le aveva decise lui e che almeno per una volta avrebbe dovuto cercare di fare la parte della buona cittadina... Ma non ci riusciva.
    Aveva perso i documenti, sua madre stava inutilmente cercando di fare la parte della donna premurosa e sensibile e la sua sorellastra si scopava il suo ex ragazzo. Non che la cosa le dispiacesse, certo, era acqua passata, ma ogni tanto era... Fastidioso ricordarsene.
    Natalie era perfettamente cosciente del fatto che avrebbe potuto avere chiunque al suo fianco, perfino quel poliziotto, ma doveva ancora inquadrare il suo nuovo modo di pensare ai ragazzi: relazione duratura o una notte e via? Difficile a dirsi.
    Anche se quel poliziotto... Magari con la divisa addosso. E poi senza. Doveva avere anche un bello stipendio.
    Scacciò via quei pensieri e provò disgusto per sé stessa poiché stava iniziando a ragionare come sua madre. Non era del tutto sbagliato ma aveva tempo per diventare un'arrampicatrice sociale!
    «Trovo assolutamente stupido il fatto che Lei non sia tenuto a darmi subito queste informazioni. Capisco che siano riservate e... E insomma, ma chi diavolo vuoi che venga a chiederti qualcosa su Sebastian Hoechlin? Probabilmente sarà finito anche nel vostro dimenticatoio oltre che in quello di questa stupida città!» In un attimo era riuscita a passare dal Lei al Tu, da un tono pacato e composto a quello di una pazza isterica con crisi d'identità.
    Non era colpa sua, non del tutto: la paura che quell'uomo fosse nuovamente a piede libero e che potesse intralciare la vita che lei e sua madre si erano faticosamente costruite stava avendo la meglio. Quel poliziotto doveva venirle incontro altrimenti avrebbe ottenuto le informazioni che cercava in un altro modo.
    ▲ Natalie L. Hoechlin ▼
    Quando gli adulti, con lo stupido sorriso di chi crede di saperla lunga, dicono: “I giovani si credono invincibili” non sanno quanto hanno ragione. La disperazione non fa per noi, perché niente può ferirci irreparabilmente. Ci crediamo invincibili perchè lo siamo. Non possiamo nascere, e non possiamo morire. Come l’energia, possiamo solo cambiare forma, dimensioni, manifestazioni. Gli adulti, invecchiando, lo dimenticano. Hanno una gran paura di perdere, di fallire. Ma quella parte di noi che è più grande della somma delle nostre parti non ha inizio e non ha una fine, e dunque non può fallire.

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