Lost Boys and Peter Pan

Per Clementine

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    23.09
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    Erano le tre del mattino, come l'avrei data da bere a mio padre quella volta? Ero già fortunata che ancora passasero autobus così sarei potuta tornare a casa prima che facesse giorno, e magari anche in tempo per digerire le droghe.
    Mi misi a sedere accanto ad un bambino e sua madre, e sorrisi al piccoletto che ricambiò e si mise a raccontarmi di come aveva fatto così tardi con sua madre, mentre quella ad ogni parola tentava di dire "basta", "non importunare la ragazza", "sù, David, smettila". I miei non fa niente e può parlare pure non sembravano contare niente, ma azzardai lo stesso per quella via perché mi sentivo un po' sola e parlare con un bambino era la prospettiva migliore che avessi, al momento. "Ah, ti chiami David?" dissi, un po' stupita ma con un tono ancora piacevole. Proprio mio padre si chiamava in quel modo, e che adesso fosse a pulire la sua reggia o a pigiare tasti di cent'anni sulla sua macchina da scrivere, sicuramente mi aspettava a casa. Preoccupato. Irritato. Arrabbiato fino all'ultimo dei suoi capelli dalle unghie dei piedi.. ma il mio cellulare era spento, più che altro morto ammazzato dalla sabbia e l'acqua di mare di quella notte, e ancora il mio vecchio non mi aveva attaccato addosso una spia.. mi avrebbe fatto sentire meglio, in realtà, al momento.
    "Beh, David, adesso devo scendere, è la mia fermata. " sorrisi e strizzai un occhio ", la tua è stata davvero una bella storia! Grazie. "
    Sua madre mi guardava ancora torvo - forse i miei occhi arrossati, forse i miei sorrisi eccessivi, forse il mio alito pessimo - quando mi alzai e scesi dal bus. Non sopportavo i genitori degli altri, avrei voluto essere rapita da Peter Pan e vivere nell'Isola che Non C'è... ma non avevo neppure mai letto il libro, in realtà.
    Misi un piede sull'asfalto e poi l'altro, e il bus ripartì alle mie spalle, mentre David mi salutava sventolando una manina. Gli sorrisi e poi ripresi a camminare per i viali verso casa, anche se sapevo che il viaggio sarebbe stato piuttosto lungo da lì in poi.. ma tanto non avevo molta voglia di dormire ancora.
    La festa al mare era stata più veloce di quanto avrei pensato. C'erano più o meno tutte le persone che conoscevo, qualcuna anche della scuola, ma la maggior parte erano più grandi e non la frequentavano più. Eravamo tutti in costume e c'erano droghe, alcool e musica di tutti i tipi e per tutti i gusti, anche se alla fine avevano quasi tutti gli stessi. Io ero rimasta lontana dalle bibite e alla fine ero rimasta a ballare sotto acidi per più o meno tutta la sera.
    "Sembri una fata sotto acidi" mi aveva detto un ragazzo, e io l'avevo baciato. Eravamo rimasti insieme per un po', avevamo fatto un bagno, poi.. non ricordo molto. Ora mi sentivo più come una merda sott'acidi, e non ricordavo niente di quello che ero stata prima. Per quanto mi riguardava, potevo anche esser stata sempre quello.
    Mi accesi una sigaretta mentre camminavo più rapidamente e gli effetti della droga svanivano. Vidi qualcuno un po' davanti a me, forse un altro reduce dalla festa.. accelerai il passo per avvicinarmi, così, per non camminare da sola.
    ▲ gilly awford ▼
    My ears hear what others cannot hear; small faraway things people cannot normally see are visible to me. These senses are the fruits of a lifetime of longing, longing to be rescued, to be completed. Just as the skirt needs the wind to billow, I'm not formed by things that are of myself alone. I wear my father's belt tied around my mother's blouse, and shoes which are from my uncle. This is me. Just as a flower does not choose its color, we are not responsible for what we have come to be. Only once you realize this do you become free, and to become adult is to become free.

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    Brandon amava il vino un po' meno delle moto. Adorava sorseggiarlo in compagnia dei suoi amici, magari davanti ad un bel piatto di carne prelibata o qualcosa di più leggero come delle olive durante gli aperitivi. Non si sarebbe mai aspettato che quella cena, in cui erano presenti quasi tutti i suoi amici e Misha, si sarebbe trasformata da sofisticato pasto in “stato di ebbrezza dovuto dal vino”.
    Brandon in particolar modo si era fatto fuori da solo qualcosa come due bottiglie e mezzo, aveva forse insultato le cameriere – con apprezzamenti un po' troppi spinti – per poi vomitare quasi tutta la bistecca alla griglia nel bagno del locale (mancando la tazza del cesso, ovviamente!). Era stato comunque generoso pagando la sua parte di conto e lasciando una promiscua mancia! Dopo la serata avevano bighellonato ancora per un po' camminando allegri per le deserte vie di Renewal Hollow dove le persone sembravano essersi smaterializzate del tutto dalla città. Quella era la parte dell'anno che il ragazzo odiava di più perché di turisti – e di possibilità di farsi delle belle tedesche – ce n'erano pochi e perché, chissà per quale assurdo motivo, la cittadina sembrava spegnersi del tutto. Si erano presi in giro, avevano finto di fare a cazzotti e Luke per poco non aveva rischiato di ruzzolare giù nel laghetto di Gomer Park e poi, per puro caso, si erano ritrovati a passeggiare in periferia.
    Casa di Brandon era lontana una mezz'oretta e mentre tutti si affrettavano a tornare in centro città con le automobili e con i taxi, a Brandon venne la fantasmagorica idea di farsi passare la sbronza passeggiando un po' da solo. Misha aveva cercato persuaderlo ma non c'era stato verso: Bran voleva camminare, da solo, per schiarirsi le idee e per godersi la fresca aria settembrina. Salutò gli amici, si assicurò che Misha non lo stesse seguendo e, tra un saluto e l'altro, si dileguò addentrandosi nella lugubre e orribile periferia. Quella zona non aveva niente a che fare con quella in cui abitava lui, dove la sua villetta – voluta fortemente da sua madre – spiccava tra tutti i palazzi e gli edifici moderni. Si sentiva decisamente fuori luogo con la sua giacca di velluto blu e gli occhiali da sole infilati nella tasca esterna.
    Lo strascicare delle sue scarpe bordeaux sull'asfalto era l'unico rumore attorno a lui senza tener conto del frusciare del vento tra le foglie. Ma come gli era saltato in mente? Arrivare fin lì e pretendere pure di fare una passeggiata in completa solitudine!
    Avrebbero potuto rubargli il portafogli o ucciderlo, per quanto ne sapeva, e nessuno sarebbe stato in grado di aiutarlo, né di indicare con precisione dove fosse. E se non fossero stati in grado di riconoscere il suo cadavere? E se una volta morto lo avessero anche spogliato dei suoi beni?
    No, decisamente l'alcol gli stava dando un po' troppo alla testa.
    Cercando di mantenere una certa lucidità – per quanto gli fosse possibile – si ricordò che stava parlando di Renewal Hollow, la stessa cittadina che aveva un tasso di criminalità bassissimo e di cui l'ultimo omicidio risaliva agli anni novanta circa. Nessuno gli avrebbe fatto del male, nessuno.
    Camminò per venti, forse quaranta minuti prima che la sbronza si attenuasse. Capì che quel che aveva fatto era completamente stupido e cercò di ricordarsi la strada che aveva aveva percorso fino a quel momento ma gli fu difficilissimo. Esasperato si gettò su quella che sembrava essere una delle vie principali della zona, cercando disperatamente di capire da dove fosse venuto.
    Per schiarirsi le idee prese una sigaretta dal pacchetto e, portandola alle labbra, l'accese. Il fumo certamente non l'avrebbe aiutato a trovare le risposte che cercava ma, quantomeno, l'avrebbe fatto rilassare un poco.
    Proseguì due metri, tre, quando si accorse di non essere da solo lungo quel viale poco illuminato. Le tre del mattino e Brandon Kent, figlio di due medici, si era ritrovato in periferia a smaltire una sbornia camminando affiancato da... Una bambina?
    Si voltò una volta, due, tre, quattro volte prima di aprire bocca. Voleva essere certo di non sbagliarsi ma quella tipa non poteva essere più grande di sua cugina Caroline di Londra – e lei ne aveva quindici! –.
    La squadrò per bene, fece un tiro di sigaretta e si schiarì la gola:«Ascolta ragazzina» Cominciò con il tono più gentile – e autoritario – che conosceva «Di problemi questa sera già ne ho avuti abbastanza quindi vedi di starmi alla larga, non vorrei che la gente del posto o la polizia» Aggiunse risoluto fermandosi di botto e voltandosi verso di lei, osservandola accigliato «Mi scambiasse per una sorta di maniaco sessuale a cui piacciono le minorenni. So che magari hai paura perché lo capisco, è un quartiere abbastanza di merda, ma questo, bella, è un problema tuo!» Era l'alcol a dar fiato alla bocca, non tanto la mente di Brandon. Ovviamente in un'altra situazione avrebbe chiesto alla ragazzina se fosse tutto okay, ma era notte e quei due stavano da soli – entrambe in pessime condizioni ben visibili – quindi perché avrebbe dovuto rischiare?
    «Al massimo puoi camminarmi avanti, se proprio non vuoi star da sola oppure... Oppure no, come non detto, chi se ne frega, quando arriverà la polizia ci penseremo» fumò ancora e riprese a camminare, incurante del fatto che lei tenesse il suo passo o meno ma continuò a parlare come se l'avesse accanto – e soprattutto, la conoscesse da una vita –: «Credo di essermi perso. 'Sto posto sembra tutto uguale, non ricordo neanche dove ho parcheggiato la macchina. Sarà una serata decisamente lunga, ragazzina».
    Era una pessima, pessima idea, ma tanto la sua serata era già andata, tanto valeva mandarla a fottere del tutto, no?
    ▲ Brandon L. Kent ▼
    Aveva imparato a rispettare il baratro che lui aveva scavato tutto intorno a sé... Anni prima aveva provato a saltarlo quel baratro e ci era cascato dentro, ora si accontentava di sedersi sul ciglio con le gambe a penzoloni nel vuoto!

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    Edited by *Clementine - 27/12/2014, 17:47
     
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    Ci volle quell'ubriaco per ricordarmi chi ero: una ragazzina, una ragazzina di sedici anni soltanto.. Già, ma non ci avevo mai creduto.
    Ero una donna, un'attrice, una drogata anche magari, ma non credevo nelle mie doti da ragazzina, perciò come potevo accontentarmi di esserlo? Purtroppo non avevo esattamente la purezza e l'ingenuità di una bambina, e dio solo sapeva quando mai lo ero stata davvero.
    Mia madre mi aveva abbandonata appena nata, mio padre mi cresceva letteralmente come una moglie e io..io sapevo che l'avrei deluso come non mai, ma non mi importava. Credevo che la cosa più importante per me fosse capire chi ero, e senza mio padre sembrava ci riuscissi meglio.
    O magari volevo solo drogarmi un altro po'.
    Rallentai quando quel ragazzo uscì fuori di testa. Mi parlava come se fossi una bambina, e potevo fingere di esserlo davvero a quel punto. Era da un sacco che non lo facevo, perchè tutti quelli che già mi conoscevano non ci avrebbero mai creduto. Anzi, a loro sembrava più possibile che fossi una fata sotto acidi -e ho detto tutto- piuttosto che una ragazzina di sedici anni.
    "Non ti arresteranno in un posto come questo solo perché cammini a due metri da una minorenne.." ma magari era troppo ubriaco per pensarci meglio.
    Pensai perché volessi camminare affianco a qualcuno, e non trovai veramente un motivo per non stare da sola. Non ne trovavo neanche uno per stare in compagnia di quell'uomo, dato che il suo alito puzzava di alcool e non sapeva neanche dove stesse andando.
    Poi disse che avevo paura. Mi sentii scuotere come da uno strano brivido, come se non fosse stata solo una parola ma un uragano. Uno pieno di stupidaggini e verità. Soprattutto verità.
    "Io non ho paura per niente. Sono al pieno delle mie capacità, almeno, e ricordo dov'è casa mia, perció.. Non devo preoccuparmi di molto altro." Feci un sorriso che voleva dire quanto fossi messa meglio di lui, minorenne o no, in quella situazione. Uno un po' prepotente.
    Sapevo dove andavo, sapevo dove stavo al momento. E, se avessi avuto una macchina, avrei ricordato dove l'avevo parcheggiata.. Ricordavo sempre le cose futili, il mio problema era non ricordare a quante persone avevo fatto promesse quella notte e quante avevo offeso con la verità, o le bugie che avevo raccontato. Chissà quanto male si sarebbe detto di me, per quello, il giorno dopo.. Giá adesso, forse.
    "E dato che le ragazzine di oggi sono molto più capaci dei vecchi ubriaconi come te, posso aiutarti a tornare alla tua macchina, allora.. In che quartiere stavi -dove non avrebbero dato fuoco a quella giacca da riccone?" Accennai un sorriso e uno sbadiglio, tanto per fingere che non lo stessi perdendo in giro -forse non lo stavo facendo davvero. Poi sentii come di ricordare di aver già parlato a quel modo a qualcuno, e fu una sensazione che conoscevo molto bene, ma ogni volta sembrava assurda. La scrollai di dosso aggiungendo qualcosa che mi sembrava lontana da quella pazzia che mi pareva come di aver vissuto; dovevo essere un po' più opportunista per riuscirci.
    "Accompagnerai a casa anche me, peró, e guideró io. Sei davvero ubriaco per dire tutte quelle stupidaggini, e non si giuda da ubriachi."
    ▲ gilly awford ▼
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    Brandon era figlio unico e come tale aveva avuto sempre una grande difficoltà ad approcciarsi con gli altri bambini. Era difficile per lui condividere i suoi giocattoli oppure capire appieno cosa volesse dire “rispettare il prossimo”. Brandon, dunque, continuava a non sapere bene come comportarsi con quelle che magari, in una vita passata, sarebbero potute essere sue sorelle o cugine più piccole, tipo la ragazzina con cui stava parlando.
    Quando raramente capitava che tutta la famiglia Kent si riunisse – come ad esempio durante le festività natalizie – il povero ragazzo si ritrovava a dover passare del tempo con Coraline e non sapeva mai come gestirla: 1uella attaccava a parlare di ragazzi, di primi approcci sessuali e chiedeva consigli a lui che, imbarazzato, deviava il discorso altrove e la esortava ad assaggiare i fantasmagorici piatti che aveva preparata la nonna, così, per farla zittire. Ma quella tipa sembrava saperla lunga e non somigliava affatto a sua cugina Coraline, che aveva i capelli neri corvini e gli occhi da gatta. La ragazzina, lì, doveva pesare qualcosa come setto o otto kili meno di lei e Brandon, che continuava a navigare tra i suoi pensieri da ubriaco, si domandò se per caso avesse qualche problemi serio di salute o se fosse semplicemente come tutte le altri quindicenni ossessionate dal peso. Si disse che non era affar suo e scacciando quel pensiero, gettò via il mozzicone di sigaretta e proseguì la camminata.
    In qualche parte remota della sua mente, sapeva perfettamente che nessuno – tanto meno la polizia – lo avrebbe arrestato perché non stava facendo nulla, anzi, era quella tipa che lo stava importunando con il suo chiacchiericcio e la sua sfacciataggine eppure, la sola immagine di lui in manette per essere scambiato come un maniaco sessuale, lo fece rabbrividire.
    Meglio non pensarci, si disse calciando un'inesistente sassolino sull'asfalto.
    «E dato che le ragazzine di oggi sono molto più capaci dei vecchi ubriaconi come te, posso aiutarti a tornare alla tua macchina, allora.. In che quartiere stavi -dove non avrebbero dato fuoco a quella giacca da riccone?».
    Brandon le lanciò un'occhiataccia indispettito, storcendo la bocca per poi alzare gli occhi al cielo: ah, questi giovani d'oggi! Si sentivano i padroni del mondo, ne combinavano di tutti i colori e poi al primo pericolo finivano a piagnucolare da mammina e papino...
    Ma lui no, era un vero uomo e doveva ritrovare la sua macchina. Da solo.
    Eppure... Quella vaga sensazione di essersi perso lo assalì di nuovo, facendolo sprofondare in un vortice di pensieri ancor più macabri dei precedenti. E poi Brandon non era né vecchio né ubriacone, aveva soltanto passato la soglia di vent'anni ormai da un po' e si divertiva, di tanto in tanto, a bere, c'era qualcosa di male? Certo che no, quella bambinetta scapestrata si stava sbagliando di grosso e Bran non vedeva l'ora di dirglielo.
    Sentiva come se la sua autorità di fantomatico fratello maggiore fosse stata appena infranta, lasciando a quella ragazzina il pieno potere di parlare come più voleva e piaceva. Ma chi era lui per impedire che ciò accadesse? Assolutamente nessuno, forse era davvero un vecchio ubriacone... Beh, magari soltanto un po' ubriaco.
    Sono un ragazzo di venticinque anni che momentaneamente è un po' brillo, concluse infine mentalmente sentendosi molto soddisfatto – dopo essere entrato in crisi per le parole di quella tipa lì –.
    «Accompagnerai a casa anche me, peró, e guideró io. Sei davvero ubriaco per dire tutte quelle stupidaggini, e non si giuda da ubriachi.»
    No. Okay insultarlo, okay dargli del vecchio, okay insinuare che fosse un ubriacone e okay anche commentare la sua giacca di velluto blu che lo faceva apparire agli occhi della ragazzina un riccone – che tanto poi sbagliato, questo pensiero, non era – ma addirittura chiedere così tanto? Era fuori discussione.
    Per quanto Brandon amasse molto di più la sua Kawasaki Ninja verde, nessuno avrebbe mai messo mano sulla sua Audi A3 Sedan grigia tirata sempre a lucido. Tanto meno lei.
    Brandon si maledì per averle dato quell'importante informazione e promise a sé stesso che da quel momento in poi avrebbe tirato a freno la lingua, ma con il vino che continuava a circolare nel corpo la vedeva un po' difficile.
    Storse la bocca e la guardò di sbieco sorridendo appena: «Alt! Dietrofront, signorina bella. Riavvolgi il nastro e pensa due volte prima di sparare queste cazzate. Tu non guiderai proprio niente, capito?» Nessuno era mai riuscito a sfiorare quel volante, nemmeno i suoi amici, perché avrebbe dovuto proprio lei?
    Si fermò di nuovo, si voltò verso di lei e si assicurò che la ragazzina lo stesse guardando – giusto per impartirle bene la lezione e farle capire che, al fratello maggiore, non bisognava disobbedire –: «Ascoltami bene. Noi adesso camminiamo un po' finché non mi passa la sbronza e credimi, sono a buon punto, e finché non mi ricordo dove ho parcheggiato la mia auto...» Si accese un'altra sigaretta e ne offrì una a lei perché ogni tanto, i fratelli maggiori, portavano quelli più piccoli sulla cattiva strada.
    «Poi sarò molto contento di accompagnarti a casa e concludere così questa orribile serata. Io sarò anche ubriaco ma tu, mia cara, non stai molto meglio di me. Hai quegli occhi che... Brr, neanche una cannetta te li gonfierebbe così tanto. Cosa hai fatto? Ti sei bucata? Hai sniffato? Hai preso qualcosa nel drink?» scrollò le spalle e si tirò indietro «No anzi, lascia perdere, non mi interessa, sono fatti tuoi ma, proprio per questo, non guiderai. Sempre meglio rischiare con me che ho alzato il gomito con un po' di vino piuttosto che con te che... Beh, non voglio sapere cosa ti sei presa» borbottò più a sé stesso che a lei.
    «Ah e per la cronaca, ragazzina, il mio nome è Brandon, tanto vale iniziarsi a presentare perché suppongo che la nottata è appena cominciata...».
    Alzò gli occhi al cielo speranzoso di vedere il sole sorgere ma la Luna, che era piena, si stagliava imponente sopra le loro teste. Sospirò, quanto tempo ancora sarebbe dovuto passare?
    ▲ Brandon L. Kent ▼
    Aveva imparato a rispettare il baratro che lui aveva scavato tutto intorno a sé... Anni prima aveva provato a saltarlo quel baratro e ci era cascato dentro, ora si accontentava di sedersi sul ciglio con le gambe a penzoloni nel vuoto!

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    Cosa potevo dire a mia discolpa.
    Prima di tutto non avevo gli occhi arrossati perché mi ero drogata - avevo solo pianto. Perché avevo pianto? Beh, perché una bambina soltando era da sola alle 3 di notte in quel quartieraccio? Perché le era successo qualcosa, qualcosa per cui si piangeva. Qualcosa di brutto ma che, con tutta sincerità, non avrei raccontato al primo che passava. Ecco, un segreto orribile.
    Era così che inventavo le bugie, passo dopo passo, momento dopo momento, e c'era sempre un perché. Non c'erano molti dettagli, perché altrimenti mi sarei incastrata da sola in un mondo che non conoscevo neppure io, e non ne avevo voglia. Non potevo sembrare sempre la solita bugiarda, era ingiusto e l'ultima spiaggia per qualunque bugiardo su qualunque pianeta. Almeno su questo, senza ombra di dubbio.
    Brandon disse di chiamarsi, sì, Brandon, dopo aver detto che non avrei giudato la sua automobile perché dovevo essermi drogata in chissà che modo. Oh, l'alcool era così innocente al confronto di tutto quello che facevo io. Era così ingiusto, di nuovo, ma potevo essere capace persino di vendere il mio corpo per un po' di ecstasy in più, e il giorno dopo potevo tornare a scuola come niente fosse. Wow, mi dicevo come sono forte. Ma in realtà essere disposti a fare qualunque cosa non è forza, è disperazione. E allora mi dicevo wow, quanto sono disperata. E c'era della verità, in quelle parole, ma dato che non mi piacevano fingevo non fosse così.
    Infondo, era la mia generazione. Non c'era praticamente più povertà - non dilagava, perlomeno - non c'erano più grosse ingiustizie da combattere e qualunque bambino cresceva nell'amore della sua famiglia. Eccezioni a parte, noi eravamo la generazione più egoista e più viziata della storia, e io che non avevo una madre e avevo un padre più lontano dell'Isola che Non C'è, non facevo eccezione.. non ne soffrivo davvero. Non sapevo ancora perché, ma non sentivo di aver bisogno né di un padre nè di una madre.
    Ma adesso qualcuno doveva credere in me.
    "O-okay, tranquillo... non giuderò la tua preziosa automobile." Mi strinsi nelle spalle; chissà perché ci si legava tanto alle cose materiali. Io non avevo mai amato tanto un oggetto, in vita mia. Non credevo neanche nel potere dei regali. Però forse non credevo ancora in niente.
    Mi fermai di nuovo, perché Brandon si fermò di nuovo. Disse che era a buon punto con la sbronza, e poi mi accusò in quel modo che stava un po' scomodo con la mia nuova copertina da ragazzina sedicenne.
    Ero un po' scomoda, dovevo ammetterlo, entro quel costume stretto da ragazzina. Era assurdo che la cosa che mi stesse più scomoda, ormai, fosse la mia verità.
    Stavo per aprire la bocca e dire qualcosa che mi discolpasse, come avevo pensato subito, per tessere la mia tela di bugie. Poi però il mio viso si infranse in un sorriso dispettoso, e dissi: "mi sono bucata? Per una siringa dovrei scopare con qualcuno che paghi almeno 50 dollari, " sapevo che a nessuno piaceva sapere quelle cose. Neanche a me piaceva la verità; "l'ecstasy costa molto meno. Anzi, te la regalano anche, se sei.. ma vedo che non sei interessato." Feci spallucce, e continuai a camminare mentre sentivo borbottii su borbottii. E mentre Brandon si presentava, vidi anche un gattino correre sopra una panchina e scendere giù praticamente ai nostri piedi, a tagliarci la strada. Era un gatto nero, uno di quelli da superstizione, e quando lo vidi sorrisi e gli andai incontro, correndo un po' per raggiungerlo e prendendolo in braccio - procurandomi qualche graffietto da nulla. Ma infondo sembrava un tenerone, e sembrava avesse anche una targhetta.. chissà cosa l'aveva spaventato, per farlo scappare di casa. Sembrava essere appena più di un cucciolo.
    Odiavo i cani, ma impazzivo per i gatti. Visto che mio padre aveva preso un cane appena ero nata, però, non avevo mai potuto prenderne con me uno: ma mi ero documentata moltissimo, e, benché fossero famosi per altro, i gatti difficilmente lasciavano casa di notte, da così piccoli.
    "Brandon.. perché non prendi con te questo micetto? " glielo avvicinai allungando le braccia e lasciando che il gattino gli graffiasse un po' la giacca di velluto. Ridacchiai un po', il micetto aveva un buon gusto in fatto di vestiti, mi sembrava. Almeno non gli piacevano quelli di Brandon. "Non gli piace stare a casa sua, sennò non sarebbe scappato. E dato che ti piace tanto fingere che ti importi di fare il fratello maggiore rompipalle,.. credo che a lui farebbe piacere averne uno. Un fratello maggiore, dico."
    O-ops. Quello era il problema della verità. Se la dicevi una volta, poi ti veniva da farlo in continuazione.. come un turbine o un uragano.
    Lasciai cadere il gatto a terra che scappò spaventato da quello che gli avevo fatto fare. Quel volo dalle mie braccia. Tanto, infondo, doveva starsene male anche là. Io ero tutt'ossa.. e ora ero anche piuttosto muta.
    Ecco perché dicevo sempre bugie. E non parlavo mai sotto la Luna, in genere. Di notte, cioè.. era meglio fare qualunque altra cosa che parlare, di notte.
    ▲ gilly awford ▼
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    Quella ragazzina gli stava giustappunto ricordando quanto bello fosse essere figlio unico: nessuna preoccupazione, nessuna rottura, nessuno che ficchi il naso fra le tue cose.
    Eppure c'era qualcosa, e Brandon non sapeva esattamente cosa, che lo spingeva a non lasciarla lì da sola o a convincerla di chiamare i genitori e farsi venire a prendere. Pensò anche che forse, ai suoi, non importasse poi molto della vita della loro bambina perché così giovane si ritrovava a gironzolare da sola per strada – strafatta di acidi – per Renewal Hollow.
    I suoi genitori, per esempio, non gliel'avrebbero mai permesso. Sua madre per prima si era messa in mezzo quando aveva scoperto che suo figlio, il suo caro e adorato figlio Brandon, se la faceva con una più grande. Quel giorno aveva fatto una gran bella figuraccia e aveva anche perso per sempre Melanie, il suo primo amore. Melanie, a volte pensava ancora a lei e a come l'aveva conquistato poco a poco, con i suoi modi di fare da donna già matura per la sua giovane età. Per lui non era stata soltanto la sua baby-sitter, ma anche la sua ragazza segreta, la sua prima volta e la sua più grande delusione.
    Ah, donne.
    Guardò la bambina e si domandò se per caso, anche lei, una volta cresciuta avrebbe raccontato tante bugie come aveva fatto Melanie con lui, negando il suo amore e confessando alla madre che in realtà lui la pagava per delle prestazioni sessuali quando invece, quella ragazza, diceva di amarlo. Sperò con tutto sé stesso che “Ragazzina” fosse diversa dalla donna che lui aveva stretto tra le braccia e, ingenuamente, si lasciò sfuggire un sorriso.
    Tirò un profondo sospiro di sollievo quando lei finalmente si arrese e gli disse che no, non avrebbe guidato la sua macchina. Non era un fattore di gelosia e neanche di attaccamento materiale alle cose, ma quell'auto se l'era comprata con i suoi risparmi e non con i soldini che i suoi genitori gli avevano passato. Da quando gli avevano tagliato tutti i fondi, Brandon aveva lavorato sodo per ottenere ciò che voleva e la sua motocicletta e la sua Audi ne erano la prova. E poi faceva il meccanico ed era appassionato di motori: il sol pensiero che la sua carrozzeria potesse anche soltanto graffiarsi lo faceva sentire male.
    No, avrebbe certamente fatto sedere la ragazzina davanti, magari avrebbe giocato un po' con la radio e fatto domande sulle spie luminose e l'interno di pelle ma il volante... Il volante restava suo, soltanto suo, punto.
    Voleva giusto dirle che il sedile del passeggere era il suo ma poi Gilly disse qualcosa che fece spegnere l'entusiasmo in Brandon.
    «Mi sono bucata? Per una siringa dovrei scopare con qualcuno che paghi almeno 50 dollari».
    Non sapeva quanto veritiera poteva essere questa frase – non aveva avuto modo di controllarle le braccia – ma non fu questo a disturbarlo quanto quella piccola clausola riguardo il sesso a pagamento. Fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto, una secchiata d'acqua gelida. Tornò con la testa da Melanie, quel giorno fatidico, quando sua madre li sorprese insieme e strattonò Brandon per il braccio, pretendendo delle spiegazioni. Fu allora che lei lo disse – ad alta voce e guardandolo negli occhi -: «A quest'età i ragazzi fanno di tutto per un po' di sesso... E si sa che quelli disperati sono disposti a qualsiasi cosa, pur di un po' di piacere, perfino a pagare. E questo è quel che è successo».
    Conosceva già quella sensazione, quando il cuore inizia ad accelerare e il respiro a farsi affannoso. Brandon strinse i pugni e inchiodò lo sguardo sull'asfalto, ricordando tutto ciò che sua madre le ripeteva in momenti del genere: «Respira Brandon, respira».
    Così fece e, momentaneamente, si calmò. Non voleva che uno dei suoi pericolosi scatti d'ira rovinasse una serata già di per sé orribile, inoltre iniziava a temere per l'incolumità di quella ragazzina. Stava parlando a vanvera, non sapeva cosa diceva e, soprattutto, non erano parole riferite direttamente a lui. Con quel pensiero anche gli ultimi residui di rabbia vennero spazzati via facendo tornare Brandon alla normalità.
    «L'ecstasy costa molto meno. Anzi, te la regalano anche, se sei.. ma vedo che non sei interessato».
    Bingo. Un conto era avere solo il vago sospetto che avesse consumato qualcosa di illegale, un conto era averne la certezza. Dunque stava fatta di MDMA e non di LSD come sospettava lui. Beh, di male in peggio. E no, gli interessava poi molto, ma il suo lato di buon medico premeva per uscire...
    Ma poco prima che attaccasse con la ramanzina, la ragazzina prese in braccio un gattino nero e lo sventolò davanti al suo viso.
    «Brandon.. perché non prendi con te questo micetto?» l'animale iniziò a graffiargli la tanto preziosa giacca di velluto blu e Brandon, interdetto, increspò le labbra e si finse offeso.
    «Non gli piace stare a casa sua, sennò non sarebbe scappato. E dato che ti piace tanto fingere che ti importi di fare il fratello maggiore rompipalle,.. credo che a lui farebbe piacere averne uno. Un fratello maggiore, dico.»
    Il ragazzo strinse gli occhi e la guardò di sottecchi cercando di trattenere una risatina isterica. Era simpatica, dopotutto... Anche se quel gattaccio gli aveva appena rovinato uno dei suoi indumenti preferiti.
    «Quel micetto che ti piaceva tanto mi ha giustappunto rovinato una delle migliori giacche che avevo nel guardaroba» la informò lui indicando i piccoli solchi sulla stoffa blu «Quindi, se non ti dispiace, chiedo qualcosa in pegno e quel qualcosa è... Mh, il tuo nome, dato che ancora non mi hai detto come ti chiami» proseguì poi facendo un tiro di sigaretta.
    Mosse qualche passo e si voltò di nuovo verso di lei, camminando all'indietro per guardarla in faccia, tutta quella faccenda del fratello maggiore iniziava a divertirlo ed inoltre voleva informarla di quale rischi aveva appena corso facendo uso di ecstasy: nonostante tutto era pur sempre un Kent, giusto?
    «E comunque, mia cara signorina, hai la minima idea di quanto stupida tu sia stata a consumare MDMA? Capisco che magari avrai avuto i tuoi motivi e quella droga fa sembrare tutto bello e giusto... Ma il tuo sistema nervoso ne ha risentito. Sai che ci sono alcuni effetti indesiderati, oltre quelli che ti fanno credere che tutto sia incredibilmente bello? Vedi, quei sintomi sono una bugia... È ciò che il tuo cervello crede. Perfino una banana marcia potrebbe apparirti il frutto più fantastico del mondo quando stai sotto ecstasy. Ma gli effetti indesiderati sono veri e reali e tu hai corso un grave rischio» Brandon stava mettendo da parte il suo lato da “bravo fratello” per passare a quello di “quasi medico che era stato attento durante le lezioni della madre”.
    «Convulsioni, midriasi, irrequietezza, confusione, mioclono, panico, diarrea, nausea... In casi più gravi si parla anche di coagulazione intravascolare, ipertermia, insufficienza renale acuta specialmente se l'ecstasy viene preso insieme ad alcolici e rabdomiolisi. Sai cos'è? Immagino di no. Beh, te lo dico io: si tratta della rottura delle cellule del muscolo scheletrico, roba con cui non si scherza, ragazzina».
    Sospirò, aveva finalmente finito. E si sentiva decisamente meglio. Il suo compito era solo quello di mettere in guardia la ragazza riguardo i rischi che aveva corso, poi quel che avrebbe fatto in seguito agli avvertimenti, riguardava solo lei.
    «Non sono qui per giudicarti, è solo che passare molto tempo assieme a dei medici ti fa capire molte cose» le fece un occhiolino senza malizia, sperando che non ricadesse più in simili sciocchezze.
    Voltandosi ricominciò a camminare sperando di ricordarsi dove aveva lasciato la macchina e poi ebbe l'illuminazione: «Vesuvio inglese!» Annunciò ad alta voce con una certa euforia nella voce.
    «Io e i miei amici abbiamo mangiato al Vesuvio inglese... Certo, si trova in centro città e da qui è una bella camminata, ma la macchina non dovrà essere tanto lontana dal ristorante, no?»
    Quel lapsus lo fece tornare finalmente di buon umore. Brandon stava finalmente smaltendo la sbronza e quella era ne era decisamente una piccola prova.
    Forse.
    ▲ Brandon L. Kent ▼
    Aveva imparato a rispettare il baratro che lui aveva scavato tutto intorno a sé... Anni prima aveva provato a saltarlo quel baratro e ci era cascato dentro, ora si accontentava di sedersi sul ciglio con le gambe a penzoloni nel vuoto!

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    "Mi chiamo Gilly, che in una lingua stupida vuol dire prometto che sarò una brava bambina." Ecco, glielo dissi, dato che diceva che glielo dovevo.
    Ora potevo sentirmi di nuovo la vera Gilly, quella che infrangeva tutte le promesse che faceva e a cui importava soltanto che suo padre non infrangesse quella che aveva fatto a lei. E questo solo per un nome; pensate un po' che potenza avevano, i nomi.
    Poi Brandon fece qualche sorriso sexy - lo so che non voleva essere sexy davvero, con me - e mi fece una diagnosi davvero chilometrica.. mi fece pensare a cosa significasse invece la droga per me, e la cosa buffa era che non significava nulla. Solo per mio padre aveva avuto un qualche strano valore - e lo sapevo non per lui in prima persona - quando io ancora non esistevo neanche nella sua mente, ma non mi sembrava per niente lo stesso aproccio da medico di Brandon.
    "Beh, è impressionante quanto ne sai.. " storsi gli occhi, perché era "impressionante" in un modo palloso. Davvero tanto palloso.
    Poi sorrisi e dissi, divertita "a casa mia ecstasy è più che altro ispirazione." Lo sapevo che era grottesco in modo assurdo, lo sapevo più che bene. Dondolai le braccia mentre pensavo che quello che avevo detto aveva bisogno di spiegazioni in più. "Beh, Brandon, mio padre è uno scrittore se i tuoi sono medici. Lui si chiama David e scrive una bugia dietro l'altra.. e come un numero davvero grande di artisti è un pazzo. Alcolizzato. Drogato." Risi, perché Brandon aveva ragione. Mi piaceva mio padre, adesso, anche se stavo persino esagerando su quello che era. Ma mi piaceva che fosse pazzo, che bevesse tanto e che si drogasse tanto, adesso. Mi sarebbe piaciuta ogni cosa, lo sapevo. E cosa c'era di male? A me in genere non piaceva niente... e niente neanche NON mi piaceva. Niente mi faceva sentire niente, o così mi sembrava ultilamente.
    Ma non quando mi drogavo, e quando ancora l'effetto delle droghe reggeva.
    Ora però parlavo troppo. Mio padre era sempre un discorso off-limits per me. Ero molto gelosa di lui, sia sotto droghe che non. Credevo che se qualcuno avesse saputo di lui.. avevo l'idea stupida che poi non sarebbe più stato davvero solo mio da quando ero piccola. Ora forse era il momento di abbandonare quell'idea.. e poi mio padre non doveva essere davvero mio in quello strano senso possessivo che io.. delle volte mi fermavo a desiderare.
    Come aveva fatto Brandon poco prima, io non volevo avere uno di quegli attimi in cui il tuo viso si corruga e ti rinchiudi chissà con chi nei ricordi, nel tuo passato o nel tuo futuro, o chissà dove per Brandon. Per me sarebbe stato il passato per forza, perché, io non mi vedevo in nessun futuro.. era difficile pensare anche solo a tornare a casa, adesso. Avrei potuto far dannare mio padre per sempre. Perché lo odiavo.
    Lo amavo.
    Lo odiavo.
    Era una persona complicata.
    E io ero sua figlia..
    "Tu mangi in un posto che si chiama come uno stupido vulcano e ti preoccupi di conoscere cosa succede ai drogati.. senti un po': e se il ristorante eruttasse mentre tu sei lì, cosa succederebbe al tuo corpo, dottore?" feci il segno di una bomba che scoppiava con le mani. Uno, due, tre e... boooom. Sangue, morte e.. cose a cui non ero abituata. Nessuno a Renewal Hollow, in realtà, doveva esserlo. E i ristoranti non eruttavano qua. Non lava, perlomeno.
    "Lo so che non succederà mai, Brandon. Non sono pazza e non mi drogherei mai abbastanza per diventarlo, tanto per mettere le cose in chiaro. Ma ti trovo assurdo... così mi viene da pensare che possano capitarti le cose più assurde." Alzai le spalle, grattando freneticamente all'altezza del gomito il mio braccio, nella parte davanti, dove una crosticina, sopra le vene, si aprì e ne uscì un po' di sangue. Mi infilai allora la giacchetta che fino ad allora, piena di sabbia, avevo poggiato sopra la borsa a tracolla, tanto per nascondere le mie bugie (io andavo sempre a letto con tutti per una siringa).
    "Ti va di sapere perché credo che tu sia assurdo?" Parlare degli altri era la regola numero uno per evitare che si parlasse dei buchi alle tue braccia. Ero anche quello: un'esperta nell'evitare che si parlasse di me. Non che lo volessi davvero... delle volte volevo essere al centro dell'attenzione, ma non volevo passare per la vittima.
    Chiaro? A me piacevano le droghe, a me piaceva dire bugie, a me piaceva quello che facevo. Io non ero una ragazzina ingenua e smarrita. Ero solo un po'.. confusa.
    ▲ gilly awford ▼
    My ears hear what others cannot hear; small faraway things people cannot normally see are visible to me. These senses are the fruits of a lifetime of longing, longing to be rescued, to be completed. Just as the skirt needs the wind to billow, I'm not formed by things that are of myself alone. I wear my father's belt tied around my mother's blouse, and shoes which are from my uncle. This is me. Just as a flower does not choose its color, we are not responsible for what we have come to be. Only once you realize this do you become free, and to become adult is to become free.

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    Quella ragazzina gli faceva uno strano effetto. Non gli piaceva, ovviamente – non nel senso letterale della parola, altrimenti sarebbe stato davvero un maniaco sessuale – ma per un certo verso si era guadagnata la sua simpatia solo per quel suo modo svampito e stravagante di essere. Brandon da piccolo era il suo opposto, sempre attento alle regole e a non deludere i suoi genitori: prestava attenzione ad ogni piccola cosa e si preoccupava sempre di non dare noie a sua madre e suo padre.
    E poi, tutti quegli anni di obbedienza erano sfociati nell'atto che aveva fatto ricredere i suoi sul suo conto e che li aveva definitivamente delusi. Da quel momento, la famiglia Kent, era andata a sgretolarsi. Non tanto Gerard, che l'aveva perdonato quasi subito («Ma amore, è un ragazzo! È lecito che faccia delle stronzate!») quanto sua madre Katherine che aveva deciso di distruggere a poco a poco il rapporto con suo figlio: via le corse clandestine, via le moto, i motori e i fondi economici.
    Magari non erano poi così tanto diversi.
    Finalmente si decise a confessargli il suo nome: Gilly, che strano, era la prima volta che lo sentiva. No, decisamente quella tipa non aveva niente a che fare con sua cugina di Londra... Era decisamente meglio. Caroline era così noiosa, piena di fronzoli e modi stupidi di fare da bambina viziata. Gilly invece gli dava l'impressione di essere uno spirito selvaggio, un animo ribelle intrappolato in un corpo troppo piccolo. Certo, Brandon le diagnosticò immediatamente una voglia di crescere davvero sproporzionata ma ehy, chi non ne aveva? Anche lui attorno ai quindici, sedici anni, sentiva di averne di più e si sbatteva la sua tata quindi che c'era di male? Gilly esagerava un po' troppo, con le droghe e tutte quelle storie strane, ma poteva andare, in fin dei conti sembrava una tipa quasi apposto.
    «Beh, è impressionante quanto ne sai...» Insinuò lei ma piuttosto che un complimento o una sorta di ammirazione che poteva avere nei confronti del ragazzo, sembrava un'enorme presa per il culo. Ma era una ragazzina e Brandon non poteva accanirsi con lei per questo! Conosceva pazienti che si annoiavano durante le diagnosi che sua madre faceva, insinuando che quelle fossero soltanto balle... Bah, Bran continuava a non concepire questo tipo di mentalità, ma l'accettava. Magari Gilly era semplicemente spaventata da tutti gli effetti che l'ecstasy poteva causare e si rifiutava di accettarli perché ne aveva paura.
    «A casa mia ecstasy è più che altro ispirazione» Che frase stupida. Brandon sbuffò e alzò gli occhi al cielo, lasciando che la ragazzina proseguisse il suo monologo anche se, avrebbe voluto ribattere, che ecstasy è droga. Ovunque.
    «Beh, Brandon, mio padre è uno scrittore se i tuoi sono medici. Lui si chiama David e scrive una bugia dietro l'altra.. e come un numero davvero grande di artisti è un pazzo. Alcolizzato. Drogato.» Ed era vero, molti artisti si perdevano in questi buchi neri senza uscita e abusavano di droghe ed alcol. Era una cosa da idioti cadere in tentazioni simili ma chi era lui per giudicare i comportamenti di quelle persone? Non conosceva Gilly e non sapeva che tipi di problemi avesse suo padre per abusare di tali droghe ma comunque non era una giustificazione. E Gilly doveva capirlo per non ricadere negli stessi errori fatti da qualcun altro.
    «Tu mangi in un posto che si chiama come uno stupido vulcano e ti preoccupi di conoscere cosa succede ai drogati.. senti un po': e se il ristorante eruttasse mentre tu sei lì, cosa succederebbe al tuo corpo, dottore?» Brandon si voltò sorpreso e allargò la bocca: davvero non aveva mai sentito parlare del Vesuvio inglese? Era forse il miglior ristorante in tutta Renewal Hollow, con un vino rosso a dir poco eccezionale e una pizza da leccarsi i baffi. Beh, Gilly parlava a vanvera, un po' troppo. E poi che razza di domanda era mai quella?
    «Lo so che non succederà mai, Brandon. Non sono pazza e non mi drogherei mai abbastanza per diventarlo, tanto per mettere le cose in chiaro. Ma ti trovo assurdo... così mi viene da pensare che possano capitarti le cose più assurde» Ah, menomale! Allora anche lei si era accorta di quanto assurda fosse la sua domanda. Brandon iniziava a preoccuparsi per la sua incolumità mentale, magari aveva qualche grave disturbo psicologico che tentava di nascondere con la simpatia. O era l'effetto delle droghe. O era il vino ancora in circolo. O quella Gilly aveva una feriva immaginazione.
    «Ti va di sapere perché credo che tu sia assurdo?» chiese infine.
    Fu proprio in quel momento che Bran lo notò: era un buchino microscopico, proprio all'interno del braccio. Ebbe immediatamente l'impulso di afferrarle il polso e controllare personalmente ma, si disse, non era affar suo. Un rivolo di sangue le colorò appena l'avambraccio ma Gilly si infilò il giacchetto e Brandon non ebbe più modo di vedere. Poco importava, magari aveva avuto una svista e di certo la luce soffusa dei lampioni non aiutava.
    Sospirò, chissà che oscuri segreti nascondeva quella bambina.
    Gettò via il mozzicone di sigaretta e si infilò le mani in tasca, rabbrividendo appena per il freddo. Si era alzato un vento gelido da nord e la macchina distava chissà ancora quanti kilometri. Decise quindi di ingannare il tempo affrontando tutte le discussioni con quella ragazzina un po' per volta.
    «Gilly» la chiamò ad alta voce per la prima volta e gli fece uno strano effetto. Per lui era semplicemente “Ragazzina” o “Cara mia” o qualsiasi altro nomignolo stupido gli veniva in mente, darle un nome quasi spezzava la magia che quella ragazza era stata in grado di creare attorno a sé «Anche se tuo padre si droga perché è un grande artista o quello che vuoi tu... Non è affar tuo. Mi spiego meglio: non è perché tuo padre lo fa allora devi farlo anche tu. E sì, i miei sono medici ma io non lo sono per scelta, sono stato obbligato. A me piace far altro che non a nulla a che vedere con la medicina, anzi, ho tutt'altre passioni... Io non sono un dottore, non ancora...» fece una breve pausa per cercare le parole giuste, era difficile persuadere una così giovane ragazza dall'uso di droghe «Tu però puoi scegliere, a differenza mia. Non sei obbligata a seguire le orme di tuo padre, non in quel modo. Sappi che l'ispirazione è ovunque, basta saperla cercare» si strinse nelle spalle: quello era tutto. Non sarebbe andato oltre perché Gilly le dava l'impressione di non voler cedere. Le piaceva drogarsi? Okay, poteva farlo anche se...
    No, Brandon non riusciva a reprimere quell'impulso di doverla proteggere e farle capire che quello che faceva era sbagliato, davvero sbagliato.
    «Per quanto riguarda la tua stupida domanda» ed enfatizzò la parola stupida con una risata: «Dell'eruzione vulcanica dobbiamo considerare due fattori: la lava e i gas che essa sprigiona. Ovviamente potrei riportare ferite come ustioni dovute all'elevata temperatura della lava mentre per quanto riguarda i gas... Sono velenosi, respirarli a lungo potrebbe portare anche alla morte. Ti dice niente l'eruzione del Vesuvio del 79 che portò alla distruzione di Pompei ed Ercolano?»
    E poi scosse il capo perché sapeva di aver parlato a vuoto: a Gilly non interessavano davvero gli effetti di un'eruzione su un essere umano, voleva semplicemente dar fiato alla bocca tanto per dire una stronzata qualsiasi. Esausto, si passò una mano nei capelli e se li arruffò, concedendo alla ragazza un altro breve e gentile sorriso.
    Tossicchiò: «Sentiamo, per quale motivo mi troveresti assurdo?» Chiese infine, curioso di sapere il parere di quella strana ragazza.
    ▲ Brandon L. Kent ▼
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    Non sapevo se gli piacesse davvero fare il fratello maggiore, e magari non aveva una sorellina a casa sua con cui sfoggiare le sue doti di.. persona assurda, ma ero sicura di una cosa: con me non avrebbe funzionato.
    Certo che no.
    Puoi non seguire le orme di tuo padre, la scelta è tua, capisco quanto sia difficile, l'ispirazione è ovunque, credimi,.. Bla,bla,bla...
    Una cosa era vera, peró: se riusciva a dire tutte quelle stupidate come se niente fosse in quattro e quattrotto, l'ispirazione doveva essere davvero ovunque.
    Questo mi ricordava una cosa che anche mio padre mi aveva raccontato, e come sempre quando lui parlava non riuscivo a capire se fosse una bugia oppure no. Come la storia del bambino che diceva sempre "Al lupo!" e quando lo sbranarono veramente tutti credettero fosse il solito scherzo. Mio padre era così: era sempre il solito scherzo oppure potevo contarci davvero?
    Quella volta lui era disteso sul mio letto, intorno tutte le pareti di vetro. Non mi sgridava mai quando ero lì, tutti l'avrebbero praticamete sentito e a lui piaceva essere discreto (una bella idea per uno discreto una casa di vetro...). Perció ero entrata con spavalderia nella mia stanza, e lui mi aveva detto: "Gilly, tu sei la mia Musa". Io ero entrata e mi ero messa a cercare la tessera della piscina pubblica, mentre quelle parole si fermavano nella mia mente.
    Sarà vero oppure no? Sarà vero oppure è solo una bugia?
    Gli chiesi chi era mia madre, e lui mi raccontò una storia infarcita su una crocerossina. Allora dissi che me ne sarei andata in piscina, e pace all'anima di quella santa di mamma.
    Mia madre non era una santa. Fanculo se lo era... Non avrebbe abbandonato suo marito e un fagottino soltanto -io- se lo fosse stata...
    Tutto quello che potevo sapere era che mio padre aveva promesso a lei o a se stesso che non mi avrebbe detto la verità su di lei, e adesso decideva sempre lei a me, alla promessa che aveva fatto a ME, e se io ero la sua droga, la sua ispirazione, beh, sarebbe rimasto in astinenza quanto più a lungo possibile.
    Non pensai, in realtà, in quel momento con Brandon, troppo a lungo a quella storia. Fu un flash di pochi millisecondi e basta, ma bastó per farmi dubitare che anche Brandon dicesse la verità.
    "Lo sai, Brandon.. Se dici la verità lo saprò prima o poi e dopo potrei anche darti ascolto. Ma se menti, però.. saró costretta ad ucciderti." feci un sorriso esagerato, che non aveva ancora niente a che fare con i suoi sexy gentili già da un po'.
    Beh, io e Brandon Giacca Di Velluto eravamo diversi, senza ombra di dubbio, infondo, no?
    Stetti ad ascoltare la sua storia sul Vesuvio e su Pompei e sui gas velenosi pensando che fosse uno dei libri di mio padre. Era una storia così assurda...delle volte, anche la storia era così assurda da sembrare la fantasia di qualche cinico drogato.
    "Grazie per il racconto avvincente. Spero che questo famosissimo ristorante" e chi l'aveva mai sentito..mi sentii un po' ignorante: neanche di Pompei avevo mai saputo, "prima o poi ti dia l'opportunità di sfoggiare le tue conoscenze... Inutili(?)".
    Non so perché ma adesso sorrisi in modo dolce. Come se non fosse una presa in giro anche quella, ma credo che lo fosse. Sicuramente, dopotutto.
    "Comunque sei assurdo perché di tutte le cose che potresti fare.. Quando uno è ubriaco in genere pensa a godersi il momento, non perde tempo con Gilly-La-Causa-Persa. Non si avventura in un quartiere stupido come questo... Io credo che fossi in te, non avrei nemmeno voglia di vivere in questa stupida città. È tutto stupido, qui. È tutto stupido e assurdo... Anche io lo sono. E anche tu devi esserlo.
    Altrimenti perché continui a parlarmi di cure a mali che tanto non ti toccheranno mai?
    " Sorrisi in modo un po' da sfida. Ecco tutto; io non credevo nelle persone altruiste. Ma nelle persone assurde fin troppo.
    ▲ gilly awford ▼
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    Brandon non amava particolarmente darsi delle arie o almeno non con le bambine che potevano avere sì e no dieci anni in meno di lui. Certo, con le donne il suo immenso sapere faceva sempre colpo lasciandole di stucco e creando in loro una sorta di eccitazione che ancora non riusciva a capire – l'uomo intelligente riscuoteva maggior successo rispetto a quello rude e meschino – ma cosa se ne poteva fare di... Di... Di Gilly? Mica le stava spiegando tutte quelle cose per portarsela a letto, altroché. Anzi, la ragazzina sembrava non apprezzare minimamente le sue conoscenze dunque, a malincuore, Brandon decise di gettare la spugna e di lasciar perdere quel suo modo “colto” di essere e di tornare a chiacchierare come il solito Bran, con il cuore leggero e il vino buono.
    «Lo sai, Brandon.. Se dici la verità lo saprò prima o poi e dopo potrei anche darti ascolto. Ma se menti, però... Saró costretta ad ucciderti» Ma faceva sul serio? Senza rivolgerle parole, corrugò la fronte e sospirò, alzando gli occhi al cielo. Si era già immaginato cadavere ma mai avrebbe pensato che ad ucciderlo sarebbe stata proprio lei... Brandon rise forte. Assurdo. La mente di Gilly era come l'universo infinito solo che, invece di galassie, pianeti e stelle, era pieno di merda e stronzate.
    E aveva l'età giusta per farlo.
    Per un momento Brandon la invidiò, invidiò quel suo modo sfacciato di parlargli e di dirgli le cose come stavano. Quella leggerezza nel drogarsi come se niente fosse, di parlare di lei senza filtri e di canzonarlo e sembrare perennemente nel suo mondo. Brandon non poteva più ma a volte continuava a farlo e così tornava ragazzino anche lui e prendeva in giro ed era fastidioso. Sua madre era solita ripetergli quanto fossero pesanti le sue battute e quel modo tutto suo di sogghignare ma a lui non importava nulla: qualcuno si era portato via i suoi anni migliori e lui, di tanto in tanto, tornava a prenderseli.
    «Grazie per il racconto avvincente. Spero che questo famosissimo ristorante rima o poi ti dia l'opportunità di sfoggiare le tue conoscenze... Inutili». Possibile che non conoscesse davvero la storia dell'eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei ed Ercolano? Il ragazzo non riuscì a nascondere la sua espressione sorpresa – ma incredibilmente divertita – di fronte a tanta ignoranza. Il padre faceva lo scrittore, inventava storie e sua figlia invece era una capra a scuola. Bello. Un po' come lui ed i suoi genitori che lo costringevano a studiare per diventare medico quando l'unica cosa che amava erano i motori.
    Forse sotto sotto non erano poi così diversi quei due. Ma sotto sotto, davvero tanto.
    Brandon sbuffò e fece un ampio gesto della mano che stava ad indicare che al momento ne aveva abbastanza. Gilly non voleva saperne di racconti e vulcani? Bene perché allora Brandon non le avrebbe detto più nulla al riguardo. Effettivamente non aveva neanche tanto torto: quella era forse la prima volta che aveva occasione di parlare di cose simili con un essere di sesso femminile – se non si tiene il conto di sua madre – e di solito, il ristorante, era la copertura romantica con cui Bran rimorchiava donne e certamente non finivano con il parlare di eruzioni e malattie.
    Gilly aveva l'occhio lungo ed era sveglia, per la sua età.
    «Comunque sei assurdo perché di tutte le cose che potresti fare.. Quando uno è ubriaco in genere pensa a godersi il momento, non perde tempo con Gilly-La-Causa-Persa. Non si avventura in un quartiere stupido come questo... Io credo che fossi in te, non avrei nemmeno voglia di vivere in questa stupida città. È tutto stupido, qui. È tutto stupido e assurdo... Anche io lo sono. E anche tu devi esserlo. Altrimenti perché continui a parlarmi di cure a mali che tanto non ti toccheranno mai?»
    Brandon aprì bocca per dire qualcosa ma la richiuse immediatamente perché si ritrovò senza parole. Non aveva mai davvero pensato di andarsene, non da Renewal Hollow. Sì, cambiare casa era una delle cose che si riprometteva sempre di fare... Ma lasciare questa cittadina... No. Non era stupida per lui, certo, un po' noiosa e monotona, ma non stupida. A Brandon piaceva sfrecciare per le silenziose strade della cittadina in sella alla sua moto, osservare le stagioni cambiare e passeggiare al centro, ogni tanto. E gli piaceva il Vesuvio inglese – anche se, effettivamente, aveva un nome un po' stupido – e anche il Paradise Lost – dove riusciva a rimorchiare benissimo – e fare colazione guardando il fiume. Non era una città stupida.
    «Gilly» la chiamò di nuovo ma questa volta era quasi un sussurro «Per me c'è un problema di fondo che ti fa disprezzare tanto questa città...» Lasciò cadere l'argomento, era meglio così. Non aveva voglia di girare il coltello nella piaga e ficcare il naso negli affari della ragazzina, magari a lei dava fastidio e inoltre Brandon voleva evitare domande scomode sul suo passato.
    Ognuno deve tenere i propri demoni per sé, concluse infine.
    Ma poi scoppiò a ridere perché quella quindicenne – ma ancora non era del tutto certo della sua età – era come un grosso rompicapo per lui ed era certo che prima o poi lo avrebbe mandato fuori di testa.
    «A me piace stare qui, in fin dei conti Renewal Hollow è... Carina. Forse hai solo visitato i posti sbagliati, tutto qui. Ti consiglio davvero di andare a mangiare al Vesuvio inglese, anche se ha un nome stupido» Si prese la libertà di rifilarle una gomitata fra le costole e le rivolse un occhiolino giocoso «Magari la prossima volta che ci vediamo ti porto a mangiare lì, eh!» Propose ridendo.
    Poi tornò serio perché doveva rispondere all'ultima domanda e forse quella più difficile. Perché si interessava a tutti quei mali? Beh, forse perché in un futuro prossimo sarebbe diventato medico. O forse perché una remota parte del suo cervello trovava quegli argomenti interessanti. O forse...
    «Non lo so» Rispose sincero, stringendosi nelle braccia «E tu invece fai troppe domande. Potrei ucciderti io, per questo».
    Bran si guardò attorno e si accorse che avevano camminato parecchio e in fretta. Il centro città non era poi così distante come credeva e E. Cromwell St. non poteva essere così tanto lontano. Il ragazzo si sistemò al meglio la giacca di velluto, si pettinò i capelli con le mani e si accese l'ennesima sigaretta.
    Casa, finalmente.
    Non proprio casa, ecco, ma almeno non si trovava ai bordi di chissà quale malfamato e stupido quartiere. Si domandò se Gilly frequentasse abitualmente il centro città o preferisse vagare in periferia alla ricerca di droga ma poi si rispose che non gli interessava.
    Gli indicò un enorme insegna al neon e sospirò: «Non siamo molto lontani dal ristorante, sai?» Si fece scuro in volto e proseguì «E comunque ognuno smaltisce le sbronze come più crede. Anche io ho bisogno di stare da solo e quello era il momento adatto...» Avrebbe voluto aggiungere dell'altro, avrebbe voluto dirle una cosa che la riguardava in prima persona ma preferì trattenersi.
    «Spero soltanto che, una volta arrivati alla macchina, non ti venga la lampante idea di stordirmi e rubarmela perché, a meno che tu non abbia detto un mucchio di stronzate, saprei come rintracciarti. Fa la brava» Si raccomandò.
    Gilly non sembrava esattamente quel tipo di persona ma era pur sempre meglio prevenire piuttosto che curare.
    ▲ Brandon L. Kent ▼
    Aveva imparato a rispettare il baratro che lui aveva scavato tutto intorno a sé... Anni prima aveva provato a saltarlo quel baratro e ci era cascato dentro, ora si accontentava di sedersi sul ciglio con le gambe a penzoloni nel vuoto!

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    Delle volte mi chiedevo "perché non ti capisci, Gilly?" e poi avevo paura che forse non lo volevo, per questo non ci riuscivo.. ma avevo paura di tante cose, e poi di niente, e forse veramente di niente, quindi non potevo preoccuparmi di niente. Sì.. non mi capivo, è quello che volevo dire; non che ci fosse qualcosa di semplice da capire, sospettavo.
    Scossi la testa al "problema di fondo" che disse Brandon e poi al fatto che quella città fosse carina.. Okay, forse era carina davvero, ma non era quello che cercavo in una città. Io volevo che fosse mia, una città, che fosse la mia città.. non che volessi esserne la regina o il sindaco, ma volevo solo farne parte. Lì non facevo parte di niente. Non mi sentivo veramente parte neanche di una famiglia..
    Risi poi quando disse che mi avrebbe portato lui a quel ristorante dal nome ridicolo. "Vesuvio Inglese". A me suonava ancora spaventoso... o comunque suonava male, ma risi lo stesso, e dissi "Eh-eh. Ti arrestano sicuramente se mi porti a cena fuori, vecchiaccio." Mi presi in pieno una gomitata sulle costole, dopo quello, ma mi fermai a ridere di nuovo. Che importava.. io ero tutt'ossa, quindi prendere una delle costole era stato piuttosto semplice per Brandon, non aveva dovuto insistere nel farmi male. Magari non lo voleva nemmeno, quello!
    Poi mi preparai ad ascoltare la risposta di Brandon. E provai a concentrarmi sui suoi occhi, anche se gli camminavo affianco, per controllare che non mentisse, anche se non ero capace.
    Ogni volta che vedevo gli occhi di qualcuno mentre parlava, non ci leggevo niente. Non che non capissi.. capivo che non c'era proprio niente da capire. Niente che potessi leggere.. non che a me piacesse leggero, non lo facevo mai.. forse era anche per quello..., ma, insomma, il fatto era che mi perdevo in mezzo al nulla e non capivo se era una bugia o la verità.
    Alla fine, comunque, Brandon disse che non lo sapeva, e fui sollevata in modo un po' strano.. non era la risposta, ma, mi accorsi, la cosa per me più importante sembrava averla mantenuta: quella doveva essere la verità.. Non che mi avrebbe ucciso lui, certo!
    Risi di nuovo, quindi - come ridevo spesso, da un poco..- e poi Brandon disse che dovevamo essere vicino alla sua macchina. Ancora, disse: «Spero soltanto che, una volta arrivati alla macchina, non ti venga la lampante idea di stordirmi e rubarmela perché, a meno che tu non abbia detto un mucchio di stronzate, saprei come rintracciarti. Fa la brava».
    Mi fermai, come se mi impuntassi di colpo: anzi, fu proprio così che feci.
    I-il problema non era che mi accusasse di essere una ladra, ma che dicesse che fino ad ora gli avevo solo mentito.
    A pensarci bene, io mentivo sempre. E non dovevo neanche pensare per capire che non avevo mentito a Brandon. Beh.. mio padre si chiamava David, io ero più o meno una ragazzina, l'ecstasy, non mi piaceva quel posto.. non avevo mentito.
    "Come, scusa?!" Corrugai la fronte, e intanto sentivo che quello stupido doveva aver smaltito davvero la sua sbronza e ora iniziava a fare come tutti. Iniziava a dubitare. E, visto che c'ero solo io, dubitava di me.
    "Non ho bisogno di rubare una stupida automobile qualunque. Credi che lo farei?! Allora ti avrei davvero detto solo bugie.." Tirai sù la tracolla, e alla fine dissi: "è per questo che odio questa stupida città. I suoi stupidi abitanti non capiscono niente e non credono in niente!"
    Diedi le spalle a Brandon e dissi, ancora solo questo, forse per farlo sentire più in colpa. "Casa mia era due incroci dietro a questo, per quella via,.. io torno a piedi."
    ▲ gilly awford ▼
    My ears hear what others cannot hear; small faraway things people cannot normally see are visible to me. These senses are the fruits of a lifetime of longing, longing to be rescued, to be completed. Just as the skirt needs the wind to billow, I'm not formed by things that are of myself alone. I wear my father's belt tied around my mother's blouse, and shoes which are from my uncle. This is me. Just as a flower does not choose its color, we are not responsible for what we have come to be. Only once you realize this do you become free, and to become adult is to become free.

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    L'idea di portare Gilly fuori a cena lo divertiva. Avrebbe spacciato quella ragazzina per sua sorella oppure sua cugina di terzo grado oppure non lo sapeva ma si promise che, in un futuro prossimo, lui e Gilly sarebbero andati al Vesuvio inglese e lui le avrebbe spiegato tutta la storia d'Italia. Beh, non proprio tutta, magari solo le cose interessanti. E poi avrebbe chiesto a Gilly se per caso ricordasse qualcosa riguardo la distruzione di Pompei e avrebbero riso ricordando quella strana serata in cui si erano conosciuti.
    Sì, si sarebbero divertiti da pazzi e lui l'avrebbe convinta a non drogarsi più.
    Brandon ci fantasticò su e ne dedusse che era strano esser felice per delle stupide scemenza ma da un po' di tempo a questa parte vedeva le donne come minaccia imminente e non come “amiche”. E Gilly stava facendo un'eccezione perché era forse la prima volta che si approcciava ad una di loro senza doppi fini ma per il solo piacere di... Parlare.
    Ma tutta la magia finì poco dopo perché Brandon pronunciò quella frase e Gilly si offese davvero molto. Corrugò la fronte e sembrò molto, molto arrabbiata.
    L'intento del ragazzo non era quello, era naturale per lui non fidarsi del tutto della gente, insomma chi durante questi tempi lo farebbe? Ma Gilly sembrò prenderla molto sul personale e per questo, Brandon, si sentì uno stupido. Poi i sensi di colpa passarono per far posto a rabbia e stupore.
    «Non ho bisogno di rubare una stupida automobile qualunque. Credi che lo farei?! Allora ti avrei davvero detto solo bugie... È per questo che odio questa stupida città. I suoi stupidi abitanti non capiscono niente e non credono in niente! Casa mia era due incroci dietro a questo, per quella via,.. io torno a piedi».
    Ma come si permetteva quella piccola insolente? Prima di tutto la sua macchina non era un'automobile qualunque. Chiunque avrebbe voluto essere al suo posto soltanto per sfiorare quel magnifico volante sempre tirato a lucido... Quell'Audi sarebbe stata in grado di trasformare perfino Gilly in una probabile ladruncola, Bran ne era certo. Parlava così perché non sapeva con chi avesse a che fare e si sentiva importante.
    Ma aveva pur sempre quindici o sedici anni, Brandon ne aveva dieci in più di lei e quella ragazzina doveva cominciare a capire cosa fosse l'educazione. Non gliene importava più un fico secco di suo padre David, dell'ecstasy e di tutte quelle stronzate riguardo il Vesuvio: Gilly doveva scusarsi, all'istante.
    Brandon la fissò stupido, il cuore iniziava a battergli velocemente. Lei – con quel suo caratterino tutto pepe – era stata in grado di spezzare la magia... E anche qualcosa dentro Brandon. Non il cuore, certo che no, a quello ci aveva già pensato Melanie tempo prima...
    «Ma certo Gilly» sbottò furioso nella speranza che la sua voce raggiungesse la ragazzina – che era ormai di spalle e intenzionata del tutto a tornare a casa a piedi – «Avanti, fa pure! Sei proprio come tutte le altre».
    Respira, respira.
    Ma non ci riusciva, non era più in lui. Se soltanto l'avesse avuta sotto mano l'avrebbe probabilmente distrutta ma Gilly era abbastanza lontana per far si che Brandon non arrivasse a lei. Allora, in quel caso, sarebbe stato davvero un bel problema con la polizia, altro che vino e grasse risate in periferia! Il ragazzo stava ribollendo di collera, probabilmente era paonazzo per lo sforzo – quello di concentrarsi e attendere che l'attimo passasse – ma dentro di lui sapeva perfettamente che quel momento sarebbe passato molto, molto lentamente.
    Afferrò le chiavi della sua auto e le scagliò con forza contro l'asfalto. Tremava, Brandon, ed era arrabbiato con sé stesso e con Gilly. Perché lo stava abbandonando? Perchè lo rimpinzavano sempre di bugie per poi lasciarlo nel peggiore dei modi – come se niente fosse, con una leggerezza tale che lui proprio non riusciva a spiegarsi –? Ed eccolo lì, il bambino spaventato di dieci anni prima che il Brandon venticinquenne tentava inutilmente di coprire con falsi sorrisi e finta gioia.
    «Sì Gilly, vattene» ripeté di nuovo con più forza, sedendosi a terra. Tirò su con il naso, non stava piangendo ma aveva una gran voglia di farlo.
    «Sei uguale a Melanie, alla tipa che mi sono scopato ieri e a quella che mi farò domani perché voi donne...» Riprese fiato un momento «Voi donne vi somigliate tutte».
    Probabilmente avrebbe voluto dirle che finché le andava bene si era divertita a prenderlo per il culo. Brandon non aveva fatto una piega, anzi, rideva assieme a lei e tirava fuori battutine. Avevano continuato ad insultarsi amichevolmente come avrebbero fatto due fratelli... E quando era stato il turno di Brandon, a dire qualcosa fuori posto, ecco che Gilly gli ha voltato le spalle per andarsene a casa.
    Impicciona, impertinente e, come se non bastasse, anche permalosa.
    Brandon non aveva bisogno di lei. Raccolse distrattamente le chiavi da per terra e si cacciò le mani in tasca, lasciando Gilly – e i suoi stupidi sedici anni – alle sue spalle.
    Se la sarebbe cavata da sola, tanto ne era capace.
    ▲ Brandon L. Kent ▼
    Aveva imparato a rispettare il baratro che lui aveva scavato tutto intorno a sé... Anni prima aveva provato a saltarlo quel baratro e ci era cascato dentro, ora si accontentava di sedersi sul ciglio con le gambe a penzoloni nel vuoto!

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    Ma guarda che stronzo, pensai, se mi sta istigando ad andare via mentre già lo sto facendo di mio gli piace vincere facile.
    Però poi lo sentii, qualcosa in quel tono di voce. In quell'urlare, più che altro, ma quello poteva renderlo solo più visibile: almeno per me.
    Quello che sentivo era così intenso che anche un idiota se ne sarebbe accorto, ma ora solo io ero lì per farlo, perciò dovevo esserci io ancora. Quello che sapevo fino a quel momento era che qualcosa nella mia testa o dovunque altro doveva essere rotta, ma adesso mi accorgevo in modo piuttosto evidente che era così un po' per tutti. O, anzi, chissene fregava di tutti.. ma qualcosa doveva essersi rotto per Brandon.
    Parlava delle donne in generale come se gli avessero fatto chissà cosa, e mi sembrava non fossi io il problema in prima persona. Chissà cosa stava pensando adesso.. ma sembrava esausto e io, che stupida, volevo.. aiutare. Aiutare lui, e non me. Perciò smisi di pensare che, per quanto mi riguardava, aveva ragione: persino la donna che mi aveva partorito mi aveva fatto del male, mi aveva abbandonata, e io la odiavo perchè non mi aveva dato neanche l'opportunità di conoscerla, e credevo non si potesse negare quell'opportunità a nessuno. Soprattutto ad una figlia.. ma nel frattempo mi allontanavo e sentivo "sì, Gilly, vattene" e mia madre non c'entrava molto. Avevo sedici anni e avevo sempre pensato solo a me, praticamente, ma sapevo che anche se mia madre poteva essere uguale a molte altre, non lo era a tutte. Non ne ero sicura, ma.. ero sicura che quel qualcuno che aveva fatto male a Brandon - quella Melanie, sospettavo abbastanza ovviamente - era unica al mondo, come tutti, e non poteva essercene un'altra uguale, sicuramente non tutte. E, non per pensare di nuovo a me, non io.
    Ritornai indietro mettendomi a correre e mi misi davanti a Brandon, allungando tutte e due le mani sulle sue braccia in fondo come facevo con mio padre e altre poche persone quando avevo paura potessero reagire male alle mie parole. Non so perché ne avevo paura, anzi.. la sua faccia era ancora piuttosto paonazza e io non lo conoscevo veramente.. eppure lui si era messo a raccontarmi tutte quelle cose sul Vesuvio e quei posti che aveva distrutto e io non ricordavo neanche più i nomi.. beh, adesso mi aveva insultato o qualcosa del genere, per quello che sentivo io, ma era solo perché anche lui non mi conosceva. Aveva toccato un tasto dolente ma io.. beh, sarei stata felice di andarmene in qualunque altra occasione, ma adesso non volevo rimpiangere qualcosa. Ero una ragazzina ma avevo fatto anche troppe stupidaggini per quella notte.
    "Ti prego, ti prego, stammi a sentire. Io ruberei la tua automobile, hai ragione. Anche se non è quello che volevo fare avrei potuto farlo davvero perché io potrei fare qualsiasi cosa. Non perché sono invincibile ma solo perché, in genere.. non so scegliere. In genere mi sembra tutto uguale, e.. non preferisco nessuna delle opzioni. " Rimasi davanti a Brandon ma parlai più velocemente, perché ero sicura non volesse rimanere a sentire: "eppure io avevo scelto di dirti la verità, prima.. e non è una cosa che faccio sempre. E tu.." Questo poteva peggiorare le cose, perciò cambiai rotta. "Nessuno mi somiglia, Brandon, te lo prometto. Giuro che dico la verità." Non so perché lo dicevo, speravo gli facesse bene perché aveva detto che somigliavo a tutte le donne della sua vita e io volevo dirgli che non era così, forse quello.. "Perché sei così arrabbiato?" Lo chiesi invertendo rotta di nuovo, e mi sembrò quella giusta. Magari mi avrebbe lanciato un cazzotto ma sarebbe stata comunque la rotta giusta. Perché non doveva essere arrabbiato con me. Doveva esserlo con chissà quali altre donne e.. "Stupido idiota ti sembro anche solo una donna?!" Gli diedi uno spintone per la rabbia e gli lanciai anche un calcio basso, dopo, tanto che gli spintoni non funzionano con chi non ha forza - me - alle braccia. Volevo fargli capire che prendersela così non aveva senso perché era lampante che non ce l'aveva con me in prima persona, non perché ero "uguale a tutte le altre donne",.. e poi da quando in qua eravamo tutte uguali? Wow, si può superare un trauma. Solo se ti svegli però. Ecco.. non volevo dirglielo, quello, ma lo sapevano anche le bambine. Uffa, era difficile.
    Mi sentivo meglio quando c'ero solo io che dovevo tornare a casa a cui pensare.
    ▲ gilly awford ▼
    My ears hear what others cannot hear; small faraway things people cannot normally see are visible to me. These senses are the fruits of a lifetime of longing, longing to be rescued, to be completed. Just as the skirt needs the wind to billow, I'm not formed by things that are of myself alone. I wear my father's belt tied around my mother's blouse, and shoes which are from my uncle. This is me. Just as a flower does not choose its color, we are not responsible for what we have come to be. Only once you realize this do you become free, and to become adult is to become free.

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    La testa di Brandon era decisamente un brutto posto dove stare sia per lui che per chi gli stava intorno. Sapeva perfettamente che qualcosa nel suo cervello era stato manomesso tempo fa e che niente e nessuno era più stato in grado di aggiustarlo. Il ragazzo aveva imparato a conviverci, ad accettare quel suo piccolo difetto, e si era messo l'anima in pace.
    Però era difficile stare a stretto contatto con gli altri, quelli diversi, che non erano a conoscenza del suo piccolo segreto. Come avrebbe potuto spiegar loro cosa c'era che non andava? Sarebbe stato strano perfino renderlo pubblico a Gilly con la quale aveva condiviso i segreti di Pompei ed Ercolano e che avrebbe volentieri accompagnato a casa con la macchina.
    Gilly, avrebbe cominciato prendendola per le spalle e guardandola dritta negli occhi, A volte succede che i grandi... No, decisamente non andava. A volte capita che alcune persone abbiano dei problemi riguardo il controllo della calma... Ah, accidenti, era così difficile pensare a mente lucida in quelle condizioni! E Gilly non era stupida, per la sua età capiva molte più cose di quanto in realtà avrebbe dovuto.
    Brandon camminò per poco lungo la strada in solitudine perché qualche minuto più tardi la ragazzina gli fu letteralmente addosso. Non si era ancora calmato, non del tutto, eppure quella gli si piazzò davanti fermandogli entrambe le braccia con le mani: aveva forse paura? Di lui?!
    Difficile ma non impossibile: Bran avrebbe potuto spaventare chiunque dopo quella scenetta di poco prima.
    «Ti prego, ti prego, stammi a sentire. Io ruberei la tua automobile, hai ragione. Anche se non è quello che volevo fare avrei potuto farlo davvero perché io potrei fare qualsiasi cosa. Non perché sono invincibile ma solo perché, in genere.. non so scegliere. In genere mi sembra tutto uguale, e.. non preferisco nessuna delle opzioni» Il ragazzo inclinò il capo e serrò le labbra leggermente confuso dalle sue parole. Una certa soddisfazione iniziò a pervaderlo: allora era vero che gli avrebbe rubato l'automobile. O forse no. Gilly sarebbe stata in grado di farlo come chiunque... Perché Brandon era troppo buono e aveva deciso di prenderla sotto la sua ala protettiva come un cucciolo randagio indifeso. Doveva smetterla di essere così altruista poiché le persone finivano sempre con l'approfittarsene. Proprio come Melanie. E forse, ma solo forse, anche Gilly.
    «Eppure io avevo scelto di dirti la verità, prima... E non è una cosa che faccio sempre. E tu...» Brandon chiuse gli occhi e scosse il capo: allora eccolo lì il problema di fondo, quello che aveva cercato di scovare dal primo momento in cui lei aveva aperto bocca. Forse Bran non era l'unica persona rotta quella notte, anche Gilly aveva qualcosa che funzionava male, un piccolo difetto che la rendeva una bugiardella fastidiosa e permalosa.
    «Nessuno mi somiglia, Brandon, te lo prometto. Giuro che dico la verità.» Beh, da una parte non poteva che sentirsi sollevato: quante altre Gilly sarebbe riuscito a sopportare? Probabilmente neanche mezza, ma quella ragazzina ormai lo aveva incantato e il sol pensiero che ce ne fosse più di una al mondo lo disgustava. Era inimitabile, un po' rompicoglioni e strana, ma decisamente unica. Le sorrise pronto per dirle che in realtà c'era stato un malinteso, che lui non voleva davvero incazzarsi in quel modo e che si scusava ma poi eccola lì, la fatidica domanda che lo mandò nuovamente in tilt:«Perché sei così arrabbiato?».
    Come poteva spiegarglielo? Gilly sapeva delle droghe, faceva le ore piccole ed era già matura – solo su certi aspetti – ma come dire ad una ragazzina che a volte la vita è troppo crudele e che certe situazioni dolorose ti lasciano le cicatrici per sempre? Perché era quella, la verità: Brandon e i suoi scatti d'ira erano il risultato di esperienze passate che lo avevano marchiato a fuoco per sempre. Ma Gilly era ancora piccola, poteva viaggiare e vedere il mondo e cambiare le cose, mica come lui che si era seduto ed aveva deciso di essere spettatore silenzioso della sua vita. Brandon, in tutta sincerità, non si era mai impegnato davvero a rimettere assieme i cocci della sua vita e mai ne aveva avuto la voglia.
    Prima che potesse anche dargli solo il tempo di formulare una frase, Gilly lo spintonò – con quella poca forza che si ritrovava – e Brandon indietreggiò giusto di qualche millimetro. E poi gli tirò un calcio basso e quello fece decisamente più male.
    Brandon sbuffò, stanco di tutto quel teatrino: voleva solo tornare a casa. Era tardi, era stanco, era affamato e troppi pensieri gli vorticavano nella mente eppure qualcosa faceva in modo di trattenerlo lì, accanto a quella figura esile ma non troppo indifesa.
    «Hai finito ora?» Le domandò con una nonchalance unica, quasi come se prima non fosse accaduto niente di eclatante.
    Il ragazzo si passò le mani nei capelli, dimenticando ogni parola che si era preparato, e disse semplicemente: «A volte la vita ti dà un sacco di motivi per essere arrabbiato...» Poi si guardò attorno, forse voleva assicurarsi di non essere ascoltato, e aggiunse a bassa voce: «E spesso e volentieri anche voi donne...» Tossicchiò «Essere femminili» Si corresse sorridendo alla ragazzina «Date l'incentivo per incazzarsi».
    Fine, non una parola in più. La storia di Melanie già lo tormentava abbastanza senza che ne parlasse, chissà quanto dolore gli avrebbe comportato confessandola proprio a Gilly.
    «Se non ti dispiace preferirei tenere i particolari per me...» Aggiunse poi vago, come a scusarsi di aver deciso di tenere quella storia per sé anche se moriva dalla voglia di raccontarla a qualcuno, di farlo davvero, senza censure e paure. Perché sua madre l'aveva interpretata come più le era convenuto e Melanie... Lei quel giorno diede la sua versione allora – e tutt'ora – considerata quella veritiera.
    Brandon strinse l'esile mano di Gilly nella sua, forte e calda, e la trascinò lungo la via di qualche metro. Non spiaccicò parola per quei cinque minuti, si guardava semplicemente attorno e rideva come un pazzo e poi, arrivato davanti ad uno spiazzale – non molto lontano dal ristorante – si fermò di botto.
    «Quello è il Vesuvio Inglese» Le disse indicandole un locale con le vetrine buie «E questa è la mia macchina» Annunciò orgoglioso tirando fuori le chiavi e facendo scattare la sicura. L'Audi rispose al comando e tutte le luci si accesero un istante per poi spegnersi. Il petto di Brandon si gonfiò per l'orgoglio e lanciò un'occhiatina a Gilly tutto contento.
    «Lo so, è meravigliosa e lo so, non la ruberai» Si voltò verso di lei e la fissò dritta negli occhi «Gilly, purtroppo anche io ho i miei difetti e sai qual è quello peggiore? Il fatto che mi fidi un po' troppo della gente... Ma con te voglio fare un'eccezione e no, non ti sto invitando a guidare» Ridacchiò «Non lo lascio fare neanche al mio migliore amico. Sto semplicemente dicendo che entrambi dovremmo pensare prima di parlare. O pensare di meno, insomma, dipende dai casi» Mosse qualche passo ed aprì la portiera: «Avanti, il sedile del passeggero è tutto tuo e... Puoi giocare con la radio quanto ti pare ma ti prego, metti buona musica» Le sorrise prima di entrare in macchina ed accendere il motore: «Mi fido di te, Gilly».
    ▲ Brandon L. Kent ▼
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    Non che fossi sicura sarebbe andata così, ma lo ero quasi.. in verità. Sapevo, insomma, che magari noi "adolescenti" potevamo avere dei problemi più drastici di quello che sembravano da fuori, delle volte, ma gli adulti, o giù di lì, erano molto più bravi ad evitare di parlarne.
    In breve, avevo creduto troppo presto di doverci essere per Brandon. Ma non dico che me la presi. Per molti, moltissimi versi, era meglio così.
    Sentii quasi come uno strattone quella presa per la mano di Brandon che in realtà era solo quello, nient'altro che una presa per mano. A me sembrò molto più forte perché ero un po' stanca un po' la solita deboluccia di sempre, ma alla fine lo seguii, incerspicando solo per i primi secondi.
    Era strano forte Brandon.. usò un tono completamente indifferente ora che smise di farmi paura ma mi sembrò assurdo, tanto da non crederci. La sua nonchalance era davvero da guinness, e glielo avrei anche fatto avere se non reputassi la cosa più degna di pugni in faccia che quello. Ma visto che non ero un asso neppure nella box, evitai anche quella reazione e scelsi tra le altre infinite possibilità che avevo come: fare finta di niente, fare finta di niente come Brandon, ..ho detto fare finta di niente? E poi, beh, avrei anche potuto fare finta di niente.
    Fantastico, no?
    ..Mi misi a seguire Brandon in quei terribili cinque minuti di silenzio in cui avrei voluto dire qualcosa, ma mi concentrai solo sulla stretta di mano di Brandon per seguirlo zitta e muta acqua in bocca e tutto il resto perché sapevo che avrebbe voluto dire qualcos'altro oltre al "se non ti dispiace preferirei tenere i particolari per me". Certo, percarità a condividerli con noi "esseri femminili", poi. E pensare che sembrava ne avesse davvero bisogno..
    Per un po' sperai sul serio avrebbe parlato a me di quello, ma poi pensai che se fossi stata meno invadente avrei capito che non c'era motivo al mondo per cui qualcuno come Brandon, e appena conosciuto, avrebbe dovuto confidarsi con me. Non c'era davvero un solo motivo.. ma io ero davvero davvero invadente molto spesso.. mi piaceva soltanto pensare di poter far parte di qualcosa, dopotutto: tutto qua.
    Però Brandon invece mi fece vedere quel famoso vulcano di un ristorante e poi la sua automobile da urlo. La guardai un po', pensando che la sua macchina era meravigliosa, e dopo Brandon stesso lo disse: "meravigliosa". Beh.. che strano, non lo avevo mai pensato in vita mia se non in quei miei strani.. sogni su Etel e la sua vita nella Romania del '500 ma avrei voluto che qualcuno pensasse quello anche di me, ogni tanto. Qualcuno.. non sotto droghe o ubriaco e qualcuno che non fosse mio padre, perché allora era come barare. Lui credeva meravigliose tutte le sue opere e io ero una di quelle, dopotutto, no? Sembra che gli scrittori non riescano davvero a criticare il loro operato, beati loro. O almeno è così per il mio vecchio.
    Smisi di pensarci quando Brandon iniziò a fissarmi per dirmi di avere dei difetti (ma dai, non me ne ero accorta!) e ridacchiare dicendo che si fidava troppo della gente. Quindi, wow, l'unica persona a cui non mentivo da chissà quanto -e chissà perché- era una che si fidava sempre della gente.. una che avrei potuto nel caso contrario fregare facilmente, insomma. E insomma io ero la solita che sceglieva male come fare.. anche se qualcosa ancora mi diceva che non mi andava di cambiare rotta con Brandon e la sua automobile da non rubare.
    Mi accontentai del sedile del passeggero mentre ancora stavo zitta, ma dopo la parte sul pensare di più - o di meno... - e sulla musica mi sfogai. Vabbè, insomma: rimpresi solo a parlare.
    Non dissi un granché.. forse avrei dovuto starmene zitta più a lungo.
    "Lo sai quale preferisco di musica? Quella che dice "si lo so sono un cagasotto ma muoio dalla voglia di parlare a qualcuno del grande male che mi affl-" mi sistemai sul sedile cercando di impicciarmi con lo stereo e alzando gli occhi verso Bran mi bloccai.. "pensa prima di parlare, ricevuto. Ma devi pure contare che sono deeecisamente sotto eroi--" pensa prima di parlare, Gilly. Com'è che era tanto difficile con Brandon? Io in genere pensavo solo e non parlavo mai.. beh, non proprio "mai", ma.. non così tanto tanto... tanto a sproposito.
    Mi concentrai dopo al 100% solo sullo stereo e scelsi una vecchia canzone su una vecchia stazione, ma una di quelle che preferivo tra le prime che trovai lì, che si chiamava qualcosa come Sweet Child Of Mine.
    ▲ gilly awford ▼
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    Edited by touch-my-butt - 6/1/2015, 03:00
     
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